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L’ex capo della Cia: «Servono ultimatum, non strette di mano. Donald si mostri forte. In Ucraina, sì alla presenza Usa sul terreno»

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DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE
NEW YORK – Dal summit di Washington con gli europei e Zelensky, «la cosa migliore venuta fuori è il riconoscimento che dobbiamo dare all’Ucraina un qualche tipo di garanzia di sicurezza e il presidente praticamente si è detto d’accordo — dice Leon Panetta al Corriere —: anche se Trump ha detto che non includerà soldati sul terreno, penso che Rubio stia cercando di trovare un approccio per fornire anche questo. Alla Russia non piace. Vogliono il diritto di veto. Non sono certo che riusciranno a ottenere che i russi l’accettino. Ma penso che sia una questione fondamentale, perché determina se la guerra continuerà o meno in futuro e se l’Ucraina potrà essere un Paese sovrano e indipendente. Perciò credo che l’Europa e gli Stati Uniti debbano trovare un approccio che chiarisce che, se la Russia invade di nuovo, affronterà tutta la Nato, e gli Stati Uniti porteranno il loro esercito per assicurarsi che la Russia non abbia successo. È importante, se vogliamo una pace vera».

Da capo della Cia e poi del Pentagono, lei ha avuto a che fare con Putin, anche durante la strategia del «reset» che tentò di migliorare i rapporti all’inizio dell’amministrazione Obama. Che cosa ha imparato?
«Quand’ero direttore della Cia era chiarissimo che non ci si può fidare di Putin, la sua parola non vale molto, perciò è cruciale la fermezza nella tua posizione. Non puoi trasmettere debolezza, la sfrutterà a suo vantaggio. E il principale problema è che adesso il presidente spera che quello che ritiene un buon rapporto tra loro sia in qualche modo abbastanza. Ma sta indebolendo la sua posizione, perché ogni volta che dice che farà qualcosa di duro si tira indietro: quando ha minacciato sanzioni e non le ha applicate; quando ha detto che voleva un cessate il fuoco e non l’ha ottenuto. Ora dal momento che i russi continuano a bombardare e Putin continua a prendere tempo, il presidente deve chiarire che, se non accetta di incontrare Zelensky in un certo arco di tempo, imporrà sanzioni e darà armi all’Ucraina. Senza un messaggio duro non si andrà da nessuna parte e la guerra continuerà».

Una sorta di ultimatum?
«Assolutamente sì, e deve mantenerlo. C’è solo una cosa che un presidente o un leader mondiale ha: la sua parola».

Pensa che ci sia la possibilità che il bilaterale Putin-Zelensky accada davvero?
«Penso che ci sia una possibilità, probabilmente basata su questa strana relazione tra Trump e Putin che non credo nessuno dei due voglia danneggiare. Ma d’altra parte non porterà benefici agli Stati Uniti se il presidente non si assicura che Putin agisca sui temi che contano. E mi preoccupa molto la mancanza di un cessate il fuoco: Trump dice che si può negoziare mentre la guerra continua, ma è assai difficile. Se c’è un aspetto critico adesso è che il presidente dica a Putin: “Devi accettare un cessate il fuoco”».

Perché crede che Trump non abbia fatto più pressione per un cessate il fuoco?
«Penso che abbia la sensazione di poter ottenere qualcosa da Putin chiedendoglielo per favore, sulla base del loro rapporto. Non funziona».

In che modo Rubio, che ora guida la task sulle garanzie di sicurezza, può risolvere la questione dei soldati sul campo?
«Sarebbe importante avere una task force militare con una presenza in Ucraina».

Militari anche americani? 
«Penso che sia gli Stati Uniti che l’Europa dovrebbe farne parte. Devi avere una presenza in Ucraina: è un deterrente più forte contro la Russia».

Rubio può raggiungere risultati concreti?
«Sono molto più tranquillo con Rubio a capo di quella task force perché sa che cosa serve. La mia speranza è che Trump gli dia l’appoggio per poter fare ciò che è giusto».

Dopo il summit, Trump ha detto su Fox che non manderà soldati sul terreno, ma forse supporto aereo.
«Se un presidente fa un summit dovrebbe esserci una preparazione approfondita, capire su quali temi si possono fare accordi. Trump non opera così. Penso che quello che ottiene da questi summit sia il piacere dello show. Con Kim Jong-un è chiaro che pensava che sarebbe bastato avere coriandoli e palloncini: l’ha incontrato tre volte e ne è uscito a mani vuote. Il rischio è che sia lo stesso con Putin. Ho l’impressione che Trump pensi che è sufficiente sedersi al tavolo a parlare e in qualche modo dal cielo arriverà una soluzione. Ma sono questioni complesse su cui bisogna lavorare: il cessate il fuoco, i territori, le garanzie di sicurezza, il ritorno dei bambini dalla Russia, i fondi per la ricostruzione. Non basta una stretta di mano. Trump non ha una profonda conoscenza delle relazioni internazionali o della Storia, si basa sull’istinto. Putin non è così: è un duro del Kgb, farà quello che ritiene sia nell’interesse della Russia ed è pronto a danneggiare gli Stati Uniti perché ha sempre creduto che danneggino lui».

Per quanto il momento sia di grande incertezza, secondo lei è il più vicino finora alla ricerca di una soluzione?
«Sì, ma se c’è uno sforzo per affrontare le questioni serie. Se gli europei lavorano con gli ucraini per capire come può funzionare potrebbe essere un risultato molto positivo. Un accordo non arriverà come per magia, ma lavorando per un obiettivo».

21 agosto 2025

21 agosto 2025

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