Home / Spettacoli / Levante: «Papà morì che avevo 9 anni, in tantissime mie canzoni c’è lui. La verità la sappiamo solo io e Diodato. Ecco perché mi chiamo Levante»

Levante: «Papà morì che avevo 9 anni, in tantissime mie canzoni c’è lui. La verità la sappiamo solo io e Diodato. Ecco perché mi chiamo Levante»

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Il primo provino?
«A 13 anni con Teddy Reno, volevo partecipare al Festival degli Sconosciuti. Mi sono presentata con due canzoni voce e chitarra scritte da me. Duravano sei minuti l’una: penso che Teddy Reno volesse uccidermi».

Cosa ci faceva a Leeds a 26 anni?
«Non è stata una grande idea andarci. Mi sono ritrovata a casa di un ragazzo che diceva di avere dei contatti discografici, mi ospitava in un monolocale insieme alla sua fidanzata ma è stato un incubo: prima di capire che era tutta fuffa, ho dormito per due mesi per terra, su un materassino gonfiabile in un bagno senza gabinetto (il gabinetto era fuori dall’appartamento). Sono tornata a casa disperata e ho scritto Alfonso». 

Cantautrice che mescola leggerezza dolce e amara ironia, la carriera di Levante è fatta di note e parole: cinque album (quasi sei), tre romanzi e un libro di poesie.

Tornata dall’Inghilterra aveva trovato lavoro in un bar.
«Lavoravo in quel bar e le cose non stavano andando come desideravo io, ero veramente tanto frustrata. Continuavo a pensare: non è possibile, io so che sono nata per la musica. La frustrazione di quel momento, il bar, non avere tempo per i miei sogni, mi uscì quella strofa: che vita di merda».

Una sensazione condivisa da tanti.
«Quelle quattro parole erano il riassunto di tutti i miei tentativi falliti. Tanti si sono riconosciuti nell’immagine di Alfonso, che è a una festa in cui tutti si divertono, in cui tutti hanno un ruolo e un’identità molto precisa, mentre lui — ossia io — si sente fuori posto, fuori luogo».

Tanti possono riconoscersi anche nel suo nuovo singolo, «Maimai», un ultimo piatto per l’ex, la vendetta da servire fredda, con il sorriso.
«Le strofe raccontano un dialogo tra due ex amanti, quando lui — dopo aver fatto una cazzata — torna in ginocchio da lei che si prende la sua rivincita: adesso è troppo tardi, una rivalsa rispetto a quello che c’è stato in precedenza. Per questo canto Ti piacerà la torta al mio livore».

C’è qualcosa di autobiografico? È successo anche a lei che qualcuno tornasse ma era troppo tardi?
«Ho ripescato dal mio vissuto, mi è venuta in mente una me adolescente che ci è rimasta sotto con un ragazzo che l’aveva lasciata due giorni prima del suo diciottesimo compleanno. Quando lui è tornato in ginocchio da me gli ho tirato un due di picche meraviglioso».

Restituire un due di picche non ha prezzo.
«Credo che ci assomigliamo tutti soprattutto nei rapporti amorosi: l’amore e il dolore sono i due sentimenti più forti che attraversano l’animo del genere umano».

Ha più sofferto o fatto soffrire?
«Credo che il saldo karmico sia bilanciato, quando sono stata io a far del male poi mi è tornato indietro: quello che semini raccogli. In questo momento credo di essere pari, non ho nessun debito, nessun credito. Quella dei sentimenti è un’indagine che faccio tutti i giorni con me stessa: cerco sempre il modo anche di migliorarmi nelle relazioni».

Si è molto discusso del fatto che Diodato si riferisse alla fine della vostra relazione. Quanto le ha dato fastidio essere accostata a «Fai Rumore»?
«No, non mi ha dato fastidio. Diciamo che le storie d’amore — le storie in generale, le cose private — le sanno le persone che le vivono e quindi a me dispiace che siano circolate voci rispetto a questo rapporto che io ho cercato di preservare in tutti i modi. La cosa che mi ha infastidito non è Fai Rumore, è l’effetto domino che ha avuto sulla bocca degli sconosciuti. La verità la sappiamo io e Antonio».

Il suo pseudonimo viene dal «Ciclone»: è il nome di Pieraccioni nel film. In cosa vi somigliate?
Ride: «In niente! Nacque per caso, avevo 12 anni quando uscì il film e mi trovavo nel mio paese di origine, Caltagirone. Ricordo questo agosto noiosissimo e afoso dove non c’era molto da fare. Olga, la mia amichetta dell’epoca, scherzando mi chiamò Levante. E da lì è diventato il mio soprannome».

Claudia non le piaceva?
«L’ho sempre detestato questo nome, viene dal latino e significa “zoppo”, “claudicante”. È curioso che Levante, sia l’opposto: colui che si alza. Era destino».

Che adolescenza è stata la sua?
«Un’adolescenza un po’ turbolenta ma come quelle di tutti, l’adolescenza è un buco nero, ti perdi, non sai dove stai andando, poi ti ritrovi. Nella mia vita ci sono state grandi trasformazioni: ho perso papà che avevo 9 anni, ho lasciato la Sicilia a 14 per andare a Torino, una città che mi ha insegnato quel tipo di compostezza che non avevo: io sono molto fisica e certi slanci ho imparato un po’ a gestirli».

La morte di suo padre le ha lasciato più rabbia o più tristezza?
«Ero veramente piccola e all’inizio sono stata arrabbiata perché la prima cosa che ti chiedi è: perché io, perché noi? Crescendo la cosa bella che ho fatto per me e per lui è stato ricordarlo sempre, continuamente. Mio padre è in moltissime canzoni dei miei dischi, è nei libri che ho scritto, è in tante mie narrazioni. L’ho tenuto in vita così, lo sento sempre vicino. E poi sono molto affezionata a Caruso Pascoski (di padre polacco) di Francesco Nuti: quando ero piccola lo guardavo con mio papà».

Tutti hanno (almeno) un senso di colpa: qual è il suo?
«Che brutti i sensi di colpa! Il mio in questo momento è dovermi dividere. Per le persone che amo vorrei essere intera, ma il lavoro mi porta a dividermi: in questa fase della mia vita sono in tanti pezzettini e spero che riescano a sfamare il bisogno d’amore delle persone che amo. Alma ha tre anni: dirle che tra tre o quattro giorni la mamma torna, per lei non vuol dire nulla, vuol dire: non sei ancora qui. Però io e Pietro siamo due bravi genitori, questo me lo devo riconoscere».

Come sta messa a ego?
«Lavoro per affrontare le cose nella maniera più serena possibile. Sto facendo un grande lavoro per distruggere l’ego, perché l’ego ci fa fare un sacco di cavolate e credo sia alla base dell’assenza di serenità».

Ma come si fa ad essere un’artista e non avere ego?
«Si può assolutamente, anche perché non significa non averlo, ma significa non esserne succubi. L’ego non si può annientare, ma non bisogna esserne al guinzaglio. Anche perché quando sei trainato dall’ego sei una brutta persona e fai delle brutte figure».

Ha fatto due Sanremo, nel 2020 e 2023: non andò benissimo.
«Ricordo entrambe le esperienze come troppo stressanti. Soprattutto nell’ultimo periodo sono riuscita a gestire il mio lato ansioso, quindi adesso riguardando quelle esperienze provo tenerezza nel vedermi così ansiosa, così nel panico. Oggi vorrei dirmi: ma stai tranquilla». Sorride: «La mia fregatura è che sono cervellotica».

Ci vuole tornare?
«Non c’è due senza tre… Sanremo è ritornato ad essere un palco molto importante per la musica italiana: lì la promozione per il tuo progetto musicale è potente».

Di «X Factor» cosa si porta dentro?
«Io non ho nessun tipo di problema sul palco dal vivo, mi sento emozionata, ma so di essere nel posto giusto, so di essere nel mio abito. La televisione invece a volte mi mette un po’ in difficoltà, mi irrigidisce, vorrei viverla con più serenità. Quella di X Factor è stata una scuola enorme che io ho fatto con un po’ di ingenuità perché all’epoca mi rifiutai di avere un autore: l’ansia del dietro le quinte, le pressioni, devi dire questo, devi fare quello, mi hanno affaticata. Ero entusiasta, ingenua e molto poco strategica».

16 giugno 2025 ( modifica il 16 giugno 2025 | 07:21)

16 giugno 2025 ( modifica il 16 giugno 2025 | 07:21)

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