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Leone abbraccia i giovani: siamo con quelli di Gaza e Kiev

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Lungo la spianata di Tor Vergata c’è ancora un milione di ragazze e ragazzi, solo un po’ più stropicciati rispetto alla sera prima, e le parole di Leone XIV alla fine della messa suonano come una risposta a chi si chiede come sia possibile ne siano arrivati così tanti, da 146 Paesi di ogni parte del mondo, per il Giubileo dei giovani: «Voi siete il segno che un mondo differente è possibile, un mondo di fraternità e amicizia, dove i conflitti non si risolvono con le armi ma con il dialogo». 

Il tono di Prevost è piano, colloquiale. «Sì, con Cristo è possibile». Niente battute a effetto, niente gesti teatrali. Ciò che conta sono le parole, la Parola che i giovani ascoltano come un invito a non accontentarsi, «continuiamo a sognare, a sperare insieme», ad andare oltre il panorama desolante offerto dal tempo presente: «In comunione con Cristo, siamo più vicini che mai ai giovani che subiscono i mali più gravi causati da altri esseri umani. Siamo con i giovani di Gaza, siamo con i giovani dell’Ucraina, con quelli di ogni terra insanguinata dalla guerra».

La notte dei ragazzi

Lo stile di Prevost è la gentilezza di un uomo mite che sabato, nell’augurare ai ragazzi la buonanotte, aveva aggiunto: «Mi raccomando, riposatevi un po’». La sera si distribuiscono coperte termiche e i box dei pasti, grandi come scatole da scarpe, bianchi e gialli come la bandiera vaticana, con tramezzini, biscotti, cornetti, succhi di frutta. Alle 2 di notte comincia a piovere per un po’, ma non ci si fa troppo caso. Qualcuno è già crollato, gli altri sono impegnati in balli notturni e partite di pallone. Nel buio ci si fa strada a fatica tra i sacchi a pelo, si capisce perché il vademecum dei pellegrini consigliasse di portare piccole torce o luci frontali. Tra foto, video e messaggi, i cellulari si scaricano presto, alle stazioni di ricarica c’è la coda come davanti ai bagni chimici. 

Alle 6 e mezzo cominciano le prove audio dagli altoparlanti, il cielo si rischiara sopra il profilo dei Castelli romani, la notte è già finita. È di nuovo Leone XIV a dare a tutti la sveglia definitiva: «Buon giorno a tutti, buona domenica!». Dal palco, vestito ancora in bianco senza i paramenti della celebrazione, lo ripete in spagnolo, francese, tedesco. Quindi aggiunge in inglese: «Fra poco inizieremo la celebrazione della Messa che è il più grande dono che Cristo ci ha lasciato, la sua stessa presenza reale nell’Eucaristia. Che Dio vi benedica tutti e questa sia un’occasione memorabile per ciascuno di voi. Quando siamo insieme come Chiesa di Dio, noi viviamo con Gesù Cristo».

Modelli

Mite ma esigente, Leone XIV richiama come modelli Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis, che saranno canonizzati il 7 settembre: «Aspirate a cose grandi, alla santità, ovunque siate. Non accontentatevi di meno». Cita Francesco: «Non allarmiamoci se ci troviamo interiormente assetati, inquieti, incompiuti, desiderosi di senso e di futuro. Non siamo malati, siamo vivi!» Perché «siamo fatti per questo», scandisce, a dispetto della «fragilità» che accomuna tutti quanti: « Non per una vita dove tutto è scontato e fermo, ma per un’esistenza che si rigenera costantemente nel dono, nell’amore. E così aspiriamo continuamente a un “di più” che nessuna realtà creata ci può dare».

La ricerca della felicità

È l’inquietudine di Agostino. «Ci hai creati in te e il nostro cuore è inquieto finché non si riposa in te», scrive il filosofo all’inizio delle Confessioni. E Leone XIV, suo «figlio» spirituale, scandisce l’omelia come un richiamo continuo a non accontentarsi, ad andare oltre: «Non inganniamo il nostro cuore, cercando di spegnere questa sete con surrogati inefficaci! Ascoltiamola, piuttosto! Facciamone uno sgabello su cui salire per affacciarci, come bambini, in punta di piedi, alla finestra dell’incontro con Dio». Del resto, «c’è un bisogno di verità che non possiamo ignorare, che ci porta a chiederci: cos’è veramente la felicità? Qual è il vero gusto della vita? Cosa ci libera dagli stagni del non senso, della noia, della mediocrità?».

Consumare non basta

A concelebrare con il Papa ci sono una ventina di cardinali, 450 vescovi, settemila sacerdoti. Tutti con la casula verde, il colore della speranza. Migliaia di fedeli si sono aggiunti al mattino, «siamo oltre un milione». Leone XIV alza lo sguardo: «La pienezza della nostra esistenza non dipende da ciò che accumuliamo né da ciò che possediamo. È legata piuttosto a ciò che con gioia sappiamo accogliere e condividere». Anche in questo, ragazze e ragazzi di Tor Vergata possono essere l’immagine di un mondo differente: «Comprare, ammassare, consumare, non basta. Abbiamo bisogno di alzare gli occhi, di guardare in alto, alle cose di lassù, per renderci conto che tutto ha senso, tra le realtà del mondo, solo nella misura in cui serve a unirci a Dio e ai fratelli nella carità, facendo crescere in noi sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, di perdono e di pace, come quelli di Cristo».

Il Papa dà appuntamento alla Gmg di Seul, nel 2027. Alla fine, fa di nuovo riferimento a Gaza: «Ci sono posti dai quali i giovani non hanno potuto venire, per le ragioni che conosciamo. Voi siete sale della terra, la luce del mondo, portate questo saluto a tutti i vostri amici, a tutti i giovani che hanno bisogno di un messaggio di speranza». Il congedo suona come una metafora: «Grazie di nuovo a tutti voi. E buon viaggio».


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3 agosto 2025 ( modifica il 3 agosto 2025 | 22:30)

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