
«È con il pessimismo che si tengono i conti in ordine». E Giorgetti dà il meglio di sé quando si traveste nel Leopardi dei conti pubblici.
Il ministro dell’Economia sparge terrore ad ogni verso: «Non si potrà fare tutto, siete avvisati». È un modo per tenere a bada quanti già bussano alla sua porta, è la regola che ogni suo predecessore ha applicato avvicinandosi al varo di una Finanziaria: «Se apri a giugno, a settembre hai chiuso». E Giorgetti a giugno chiude. Ma a sentire chi lo frequenta quotidianamente, «più che un catastrofista Giancarlo è un democristianone». Che cantando l’ira funesta del bilancio tiene a bada gli amici di partito, pressanti nel richiedere l’ennesima rottamazione. «Bisogna stare attenti», dice come pronunciasse un’omelia.
Mancano due leggi di Stabilità al traguardo della legislatura e già la prima si preannuncia difficile per il governo, condannato a gestire i conti pubblici dentro una congiuntura internazionale che fa dire alla premier «mancano solo le cavallette». E mancano anche le risorse: giusto per fare i conti, servirebbero otto miliardi per la Difesa, altri tre per la Sanità, poco meno per tagliare di due punti l’aliquota Irpef del 35%. Così tra annessi e connessi, tipo le cambialette del superbonus, si arriva (per ora) a venti miliardi.
A guardare il bicchiere mezzo vuoto, con il Pil che fatica a toccare l’1%, in maggioranza c’è chi sussurra «non vorrei essere al posto di Giorgetti». A guardare il bicchiere mezzo pieno, tra il calo dello spread, l’incremento delle entrate e il nuovo concordato, c’è chi nel governo invita all’ottimismo: secondo il viceministro all’Economia Maurizio Leo «si troveranno un po’ di soldi per ridurre le tasse al ceto medio, aiutare le imprese e verificare se si può far qualcosa per la rottamazione».
Perché bisogna tenere buoni gli alleati mentre gli avversari si preparano a surfare l’onda della protesta sociale con una campagna d’autunno che nel Parlamento e nelle piazze sarà concentrata sullo slogan «Meloni toglie i soldi alla salute per dare più soldi alle armi». È il gioco della dialettica politica, che non necessariamente coincide con la coerenza e con l’aritmetica. Nel primo caso perché fu il gabinetto giallorosso di Giuseppe Conte ad accettare l’aumento delle spese militari dei Paesi Nato. Nel secondo caso perché Giorgetti ha già fatto sapere al titolare della Difesa che aumenterà il suo budget solo dello 0,2%. «A me va bene», ha risposto Guido Crosetto: «Per quest’anno…».
Ma i conti nel governo non si chiudono senza l’oste, cioè senza la presidente del Consiglio, secondo la quale vanno messe insieme le risorse del bilancio, i fondi di coesione e quelli del Pnrr. Lo si era intuito da un passaggio del suo intervento durante l’incontro con le parti sociali, quando aveva annunciato di voler rimodulare il Piano di resilienza e aggiornarlo con la Coesione. Un modo per dire che alcune cose si sarebbero fatte usando i finanziamenti Ue.
Tre settimane fa, guarda la coincidenza, la Commissione europea ha approvato una comunicazione firmata dal vicepresidente Raffaele Fitto e dal commissario Valdis Dombrovskis sul Pnrr: alla luce della nuova situazione internazionale, e vista la scadenza ormai definitiva per l’agosto 2026, il documento invita i Paesi Ue ad accelerare la revisione del Piano per cancellare i progetti che hanno difficoltà ad essere completati e sostituirli con altri realizzabili nei tempi previsti. Tradotto dal burocratese, vuol dire che l’Europa fornisce agli Stati membri con bilanci in sofferenza (come l’Italia) gli strumenti per superare le loro difficoltà.
Un’autentica boccata di ossigeno, che consentirebbe al governo di spostare ingenti risorse e di produrre un forte impatto sul bilancio nazionale e soprattutto sulla crescita. Almeno è questo l’obiettivo. Allora si capisce perché negli ultimi giorni, quando parla con i colleghi di governo, Giorgetti più che imprecare sulla Finanziaria continua a prendersela con «quelli che in monopattino invadono le corsie preferenziali».
Chissà se questa fissazione abbia psicologicamente qualcosa a che fare con le pressioni provenienti da Washington: gli Stati Uniti chiedono di tagliare le tasse europee che impattano sulle loro multinazionali, minacciando di rivalersi sugli extra-profitti anche delle imprese italiane. «Ci mancava anche questo. Quante volte devo spiegare che il compromesso va raggiunto a Bruxelles?». «L’argomento — sostengono fonti del governo — è complesso e delicato». Per il resto, sorprende come il Giorgetti catastrofista in certi casi lasci spazio a un Giorgetti ottimista. Sulla battaglia dei dazi, per esempio, è pronto a scommettere che «Trump non li applicherà».
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28 giugno 2025
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