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Legge di bilancio, gli emendamenti per gli animali: aiuti alle famiglie a basso reddito per cure veterinarie e cibi dietetici

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Anche gli animali sono in campo nella partita degli emendamenti alla legge di bilancio per il 2026, ovvero nella rimodulazione dei capitoli di spesa che lascia al Parlamento alcuni margini di manovra sulle scelte compiute a livello macro dal governo. Al netto del mantenimento dei saldi, gli aggiustamenti in questa fase permettono di allocare risorse o quantitativi maggiori di denaro in alcuni capitoli di spesa. Un tentativo viene fatto anche sul fronte dell’accudimento di cani, gatti e altre specie d’affezione, con un pacchetto di proposte «animaliste» presentato dal gruppo di Noi Moderati, che che ha fatto proprie le proposte dell’on. Michela Vittoria Brambilla, deputata del gruppo e presidente dell’Intergruppo parlamentare per i diritti degli animali. Le proposte riguardano in particolare la riduzione dell’Iva sui cibi dietetici per gli animali domestici e la creazione di un fondo per il sostegno alle spese per prestazioni veterinarie. «Il filo conduttore di questa battaglia – sottolinea Brambilla – è che la salute è un diritto di tutti». Anche degli animali e, ancor di più, delle famiglie che se ne fanno carico. 

Oggi avere un animale domestico costa circa 900 euro all’anno, secondo i dati di una recente ricerca Nomisma. Questa cifra comprende le spese essenziali di accudimento, che sono fondamentalmente l’alimentazione e le cure mediche e con queste ultime che incidono per circa un terzo. Tuttavia in entrambi i casi si ha a che fare con un regime Iva non agevolato: l’aliquota, sia per il cibo sia per le prestazioni veterinarie, è del 22%. E questo, oltre ad assimilare prodotti e servizi per gli animali a beni di lusso, rende l’impegno di spesa a carico delle famiglie particolarmente oneroso. I cibi per l’alimentazione umana hanno aliquote del 4 o del 10%, mentre sul fronte salute c’è un sistema sanitario pubblico che garantisce una cura di base universale. Non così per cani e gatti. Di qui il tentativo di introdurre qualche cambiamento, affidandosi appunto agli emendamenti. 

Nel dettaglio viene proposto di assimilare gli «alimenti dietetici di animali da compagnia prescritti o raccomandati da un medico veterinario per la gestione di patologie o disturbi funzionali» allo stesso regime Iva dei farmaci e, quindi, a un’aliquota del 10%. E viene chiesto di istituire un fondo per il sostegno alle famiglie a basso reddito per le prestazioni veterinarie che riguardano gli animali d’affezione che vivono con loro. La richiesta è di una dotazione iniziale, per il 2026, di 10 milioni di euro. Viene inoltre avanzata la proposta di fare erogare agli Istituti zooprofilattici sperimentali, nell’ambito dei servizi per l’igiene urbana veterinaria e per la diagnosi delle zoonosi urbane (ovvero le malattie trasmissibili all’uomo), anche prestazioni «per l’identificazione e il controllo della riproduzione». 

«Mi batto da sempre affinché sia superato l’iniquo regime fiscale al quale soggiacciono i proprietari e i detentori di animali d’affezione – spiega Brambilla -. Per l’anno 2026 ripartiamo dall’esigenza di sostenere i cittadini economicamente più deboli che devono tutelare la salute del proprio animale, per ragioni di equità e in nome del principio, ormai largamente condiviso, della salute unica». L’idea cioè che il benessere di persone, animali e ambiente sia un tutt’uno e che l’equilibrio in tutti gli ambiti garantisca migliori condizioni per ogni categoria. «Le risorse investite nella riduzione dell’Iva e nell’attivazione del nuovo Fondo – precisa la deputata di Noi Moderati – vanno in realtà viste come investimenti per un aumento della qualità della vita degli anziani, che sono i soggetti più deboli tra i proprietari di animali. Così si possono prevenire abbandoni e randagismo e si garantisce la salute degli animali che di fatto condividono con noi gli spazi quotidiani».

La parola passa dunque all’Aula. La battaglia non è semplice perché da sempre il mondo delle associazioni di volontariato chiede una riduzione dei costi fiscali per l’accudimento degli animali d’affezione, ricordando appunto i benefici in termini di qualità della vita che la relazione comporta. Ad appoggiarle ci hanno provato nel tempo diversi parlamentari. E da alcuni anni una pressione in tal senso arriva anche dal mondo delle imprese, in particolare dalle aziende del settore del pet care, che dai dati di mercato rilevano la stratificazione sociale della loro clientela, che solo in parte può accedere ai prodotti di qualità maggiore. Ma la stratta è stretta e tortuosa. Tornando alla stima dei 900 euro di costo medio annuale, infatti, significa che attualmente il 22% di quella cifra, cioè poco meno di 200 euro,  finisce in un modo o nell’altro nelle casse dell’Erario. Considerando che solo tra cani e gatti sono circa 20 milioni quelli che vivono nelle famiglie italiane, è facile capire che ad un’entrata così consistente sarà difficile rinunciare. Non si tratta però di annullarla del tutto, ma solo di scalfirne una quota. Gli emendamenti provano ad intervenire con provvedimenti mirati sulla salute degli animali e a sostegno della popolazione economicamente più fragile, con un impegno economico più limitato. 

18 novembre 2025

18 novembre 2025

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