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L’egemonia del dollaro è a rischio? Cosa c’è dietro il piano di Trump per svalutare la moneta Usa

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L’ascesa del dollaro come moneta di riserva del mondo è la causa del declino manifatturiero degli Stati Uniti? Così la pensano molti esponenti dell’attuale amministrazione Trump che vedono nella svalutazione del biglietto verde la chiave per riaprire le fabbriche e «rendere l’America di nuovo grande». Secondo Stephen Miran, consigliere economico della Casa Bianca, «la funzione di riserva del dollaro ha generato persistenti distorsioni valutarie e ha contribuito, assieme alle inique barriere commerciali imposte dagli altri Paesi, a creare deficit commerciali insostenibili». 

La svalutazione del dollaro

La soluzione? Far svalutare il dollaro o, il che è lo stesso, costringere gli altri Paesi a rivalutare le loro monete sotto la minaccia, per esempio, dei dazi. Sinora la strategia sta funzionando: da inizio anno il dollaro si è indebolito dell’8,5% rispetto al paniere costituito dalle altre maggiori valute. Nei confronti dell’euro il biglietto verde ha perso quasi il 9% nel 2025, uno dei movimenti al ribasso più violenti della storia recente. Qualcuno immagina che dietro questa svalutazione – che rende più competitive le esportazioni americane – ci sia una precisa strategia. Ed evidenzia l’esperienza nel maneggiare le valute del segretario al Tesoro, Scott Bessent, ex gestore dei fondi di George Soros e fra gli artefici del clamoroso attacco speculativo alla sterlina del 1992. 

Il crollo della manifattura

Molti economisti dubitano però che la forza del dollaro sia la vera ragione per cui la quota di lavoratori impiegati dalla manifattura negli Stati Uniti è scesa dal 24% del 1974 all’8% del 2024. «Negli ultimi 50 anni il dollaro ha oscillato molto, talvolta apprezzandosi – come in questa decade – talvolta deprezzandosi, come ha fatto per 10 anni di fila dal 2002 in poi», osserva il ricercatore, David Lubin. «Durante questi cicli i corsi del dollaro sono cambiati senza perciò modificare significativamente il suo status». Anzi, semmai, il rafforzamento del dollaro degli ultimi anni si è accompagnato a un indebolimento della sua funzione di moneta di riserva globale. In 1o anni il peso del dollaro nelle riserve valutarie globali è sceso dal 65 al 58% e la quota di debito pubblico Usa in mano investitori esteri è calata dal 50% a circa un terzo del totale di oltre 36 mila miliardi. 

Il legame con il boom americano

Le ragione dell’enorme disavanzo negli scambi degli Stati Uniti con il resto del mondo, chiosa Lubin, «è semplicemente che l’economia americana ha mostrato molta più vitalità della maggior parte degli altri Paesi: la decade dell’eccezionalismo americano è stata la causa sia della forza del dollaro sia della crescita del deficit commerciale». Il divario di pil pro-capite fra Stati Uniti ed Europa si è per esempio ampliato al 30%, aumentando il potere di acquisto di beni da tutto il mondo per le famiglie e delle imprese americane. Anche se, va detto, questo incremento di ricchezza è stato distribuito in maniera molto diseguale sul territorio americano, generando quelle tensioni sociali che molti esperti considerano all’origine del fenomeno Trump (e ben narrate nell’autobiografia Elegia Americana del vicepresidente J.D. Vance). 

La fiducia nel biglietto verde

Se la forza del dollaro dipende anzitutto dalla forza dell’economia del Paese sottostante, dunque, una recessione negli Stati Uniti dovrebbe portare a una svalutazione del biglietto verde. Proprio i timori di un avvitamento del pil Usa a causa della guerra commerciale è probabilmente la causa prima della repentina discesa del dollaro negli ultimi mesi. Se a queste preoccupazioni cicliche, però, si sommerà anche il venir meno della fiducia nell’affidabilità del sistema economico-politico americano, allora in pericolo non ci sarà solo il valore del dollaro come moneta di scambio ma anche la sua funzione di riserva globale e i privilegi ad essa associati, per esempio, in termini di facilità di rifinanziamento dell’enorme debito pubblico statunitense. 

La mancanza di alternative

Siamo insomma all’alba del tramonto dell’egemonia del dollaro? Presto per dirlo: simile profezia è stata ripetuta a ogni crisi finanziaria, ma sinora non si è mai avverata. Il ruolo del dollaro negli scambi commerciali globali e l’influenza geopolitica degli Usa è tale che per le aziende e gli investitori è difficile trovare una moneta sostitutiva altrettanto affidabile e universalmente accettata. L’euro soffre infatti della frammentazione politica dei Paesi che lo adottano, in preda a costanti spinte centrifughe, mentre – ammesso che gli altri governi siano disposti a riconoscerlo –  Pechino non pare disposta a svolgere questo ruolo che, peraltro, comporterebbe un apprezzamento del suo yuan e quindi una perdita di competitività della sue esportazioni.  

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18 aprile 2025

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