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Lea Massari e l’intervista al Corriere: «Il set dell’Avventura fu un incubo: maltempo, scioperi, bevevamo l’acqua dei pozzi»

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ROMA — «Il presidente Gilles Jacob mi ha invitato al Festival di Cannes ma
non vado, ho problemi personali, e poi quel mondo mi è lontano». Lea Massari, 75 anni, col cinema ha tagliato dagli anni ’90. Vive da sola a nord di Roma in una casa con cinque animali dove dimora dal 1969, «quando era tutta campagna, ora bisogna uscire con la lancia». Ma non si è chiusa al prossimo. Prende 1400 euro di pensione al mese. Ama la musica classica, Debussy e Ravel. Paladina degli animalisti «e sono stata in
contatto con Brigitte Bardot, molto seria e in gamba nelle sue battaglie. La mia vita vera sono stati gli animali, io non volevo fare l’attrice».
Ne L’avventura è la giovane donna che dopo segni di insofferenza scompare nel nulla. Monica Vitti (di spalle) nel film di Michelangelo Antonioni del 1960, che aprì la trilogia dell’incomunicabilità, è ritratta nel manifesto
della rassegna: il 20 l’omaggio al regista a cui parteciperanno 25 attrici, tra cui Claudia Cardinale, Valeria Solarino, Giovanna Mezzogiorno. Lea non vorrebbe ripescare nei ricordi, che sono duri, impietosi. «È stata un’esperienza che mi ha segnato profondamente, i produttori
ci lasciarono senza soldi e io, scaduto il contratto di un mese, lavorai per altri tre mesi e mezzo gratis, lo sciopero della troupe, il maltempo. Le navi non potevano attraccare, bevevamo l’acqua dei pozzi, la poca buona che c’era andava nella casa abitata da Antonioni, Monica, più l’aiuto regista e sua moglie, erano in un castellotto dove non mancava niente. Sono stati tre mesi drammatici a Panarea, poi a Palermo abbiamo rifatto tre scene terribili, in bikini, era gennaio. Un freddo terribile. E ho preso una specie di colpo apoplettico, poi un blocco intestinale per l’acqua ghiacciata. Fui salvata per miracolo da due dottori. Il film bisognava finirlo per forza, non si poteva fare altro». Il grosso delle riprese però avvenne d’estate. «La situazione era
capovolta. Dovevamo essere tutti pallidi. Antonioni si era reso conto che Monica Vitti si riempiva di efelidi e quindi venimmo ricoperti, braccia comprese, sempre con i cappelli in testa». Però al Festival di Cannes vinse il premio della giuria (la Palma d’oro andò a La dolce vita di Fellini). «Ci premiarono dopo gli insulti del pubblico, ci tirarono i pomodori. E sa che cosa ho pensato? Tutto sommato non mi è dispiaciuto, anzi, era
ora, dopo quello che abbiamo passato. Non ho mai ricevuto un fiore, un grazie, una telefonata. Io ero una ragazza, avevo 20 anni». Quel film segnò l’inizio della storia d’amore tra Antonioni e la Vitti. «Due persone intelligenti e furbe. Lui era spiritoso, si stava bene insieme fino a quando non si girava. Io adoro la verità, i cretini possono anche mentire, gli intelligenti non ne hanno bisogno. Antonioni ci prese in giro, sapevamo che il film
aveva come protagonista un’attrice francese di cui non ho più ricordato il nome, c’erano molte “o”, ci avevano detto che era lei la nostra primadonna. Si fece finta che Monica fosse diventata una specie di tappabuchi, invece era previsto da sempre. Lui era anche un uomo d’affari. Quando ormai il film era fallito, pronti per trasferirci a Lisca Bianca, nessuno era stato pagato da settimane e cominciarono gli scioperi della troupe».
Possibile che lei abbia detto d’aver fatto una carriera mediocre? «È così, io
non sono nata per fare l’attrice, non è un mestiere che ho voluto, non l’ho cercato, ho fatto un lavoro che non mi interessava, per questo è stato facile dire basta». Ma considera L’avventura un grande
film? «È una questione di gusto, ha aperto una pagina nuova nel cinema, fu una rivoluzione, come gli impressionisti nelle arti figurative: qualcuno non era pronto a guardare i quadri in un altro modo». L’ha più rivisto? «No. Ne ho una copia in casa, da qualche parte»

25 giugno 2025

25 giugno 2025

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