Per 100 ore Eloá Pimentel viene tenuta in ostaggio nella sua casa a San Paolo, in Brasile, dall’ex fidanzato 22enne Lindemberg Alves. Per i genitori e gli amici, sono un’eternità. Per la gente comune, il rapimento diventa un caso mediatico da seguire in televisione e alla radio, senza interruzioni. La storia della quindicenne brasiliana viene seguita come se fosse un reality show, fino al tragico epilogo della sua morte, dopo cinque giorni di prigionia.
Chi era Eloá Pimentel
Eloá Pimentel è una studentessa di 15 anni che vive a Santo Andrè, un distretto di San Paolo. È l’ultima di tre fratelli, con cui ha un rapporto profondo, così come con i genitori: alla madre si confida e rivela i suoi segreti. Quando comincia a frequentarsi con Lindemberg Alves, però, la informa solo in un secondo momento. «Non mi aveva detto niente di lui», ricorda la madre nel documentario Netflix Ostaggio in diretta: il caso Eloá Pimentel, che ripercorre i tragici eventi del 2008.
«Sapeva che non avremmo acconsentito. Quando Lindemberg viene a parlarci, gli spieghiamo il perché: lei aveva 12 anni, lui 19. Era una cotta». Lui capisce, ma la madre lo avverte: «Niente uscite, niente passeggiate, vi potete vedere solo in casa». Era stato il fratello di Eloá, amico di Lindemberg, a presentarli. Da quel momento era iniziata una relazione di alti e bassi contraddistinta anche da violenze taciute.
Le frasi sul diario
Il 2 febbraio 2008, giorno del loro anniversario, Eloá (ora 15enne) scrive sul suo diario di essere felice con Lindemberg: «Non avrei mai immaginato di poter amare qualcuno quanto lui», scrive la giovane. Eloá spera che la relazione duri per sempre, ma nelle pagine seguenti emerge una relazione difficile: lei si sente soffocata da Lindemberg, dal suo fare spesso freddo e minaccioso. I due litigano spesso e, in qualche occasione, il giovane alza le mani su di lei. «Gesù, aiutami, sto attraversando una prova. Voglio arrendermi. Signore, risolvi questa situazione. Prenditi cura di me» scrive sul diario.
La gelosia di Lindemberg diventa eccessiva ed Eloá decide di lasciarlo, nonostante continui ad aver paura. «Una volta la accompagnai a scuola e notai che si spaventò al rumore di una moto. Pensava fosse lui» racconta il padre della ragazza nel documentario. La lontananza non placa Lindemberg, anzi: vuole continuare ad avere il controllo su Eloá, mentre lei ha voltato pagina.

«Ne uscirò solo morto»
Il 13 ottobre 2008, Eloà si trova in casa sua con gli amici a studiare. «Saremmo dovuti andare a casa mia, poi lei mi disse che a casa sua non c’era nessuno», ricorda uno di loro nel documentario.
Una ventina di minuti dopo l’arrivo degli amici, nell’appartamento irrompe Lindemberg. Un fratello di Eloá e il padre provano a entrare, ma trovano la porta chiusa dall’interno. «Allontanatevi o sparo! Ne uscirò solo morto. Ucciderò Eloá, Nayara, Victor e Yago» urla il giovane, barricato dentro.
Quando accorre anche la polizia, inizia una lunga trattativa col rapitore. Che sembra inamovibile: «Se non può essere mia, allora non sarà di nessun’altro» minaccia. Alle forze dell’ordine Lindemberg Alves conferma i suoi propositi: non vuole rilasciare nessuno, né vuole abbandonare la casa.
La telefonata del giornalista
Mentre la situazione dentro l’appartamento è tesa, sotto il condominio di Santo Andrè si raduna la folla. Oltre alle forze di polizia, coordinate dal Gate (Gruppo di Azioni Tattiche Speciali), ci sono i media e tanti curiosi.
La storia esce ben presto dai confini della città: tutto il Brasile segue la storia di Eloá Pimetel. Giornali e televisioni intervistano i conoscenti del rapitore, che lo descrivono come un giovane ma tranquillo e senza precedenti penali; alcuni lo giustificano, sostenendo che si tratta soltanto del gesto di un innamorato geloso. «Perché credi l’abbia fatto?» chiede una giornalista a una ragazza: «Per amore, credo» rispondi lei (la scena è riproposta nel documentario di Netflix).
Pochi intuiscono come andrà a finire, nemmeno la polizia ha idea di quanto Lindemberg possa essere pericoloso. Appostati fin dalle prime ore del sequestro, i cecchini avrebbero la possibilità di colpirlo, ma la scelta è quella di negoziare. Gli agenti parlano con lui al telefono in continuazione, per mantenere un filo col rapitore e sperando di stancarlo.

Le mosse del rapitore
Nelle prime ore dal rapimento Lindemberg libera i due ragazzi, mentre tiene con se Eloá e Nayara. Uno degli ostaggi racconterà che lui incolpava la ex di avergli rovinato la vita. Per capire cosa sta succedendo fuori si affaccia alla finestra insieme a Nayara, puntandole la pistola alla tempia: «Se fate qualcosa la uccido», urla alla folla.
Il rapitore fa sul serio e si capisce dalla facilità con cui spara colpi: per poco non uccide un poliziotto, nascosto dietro una colonna in cortile. Nel frattempo succede qualcosa che cambierà il corso degli eventi. Un giornalista, uno di quelli radunati sotto l’appartamento, telefona nell’appartamento di Eloá.
Il giornalista parla direttamente con Lindemberg, estromettendo di fatto la polizia. In questo modo il giovane si rende conto di quanta attenzione ci sia nei suoi confronti: in tv ci si chiede se sia un folle, un criminale o un innamorato geloso. Lui riduce i contatti con la polizia e apre un canale con i media.
L’attenzione sul criminale
Trascorrono le ore e la figura di Eloá diventa sempre più laterale nella vicenda: ora è il criminale il protagonista della storia. È di Lindemberg Alves che la gente vuole sapere, vuole conoscere le sue ragioni ed esprimere un parere su di lui. «Cos’è quest’allucinazione collettiva di romanticizzare il criminale?», si chiede tempo dopo il fratello maggiore della ragazza nel documentario Netflix.
Quando Eloá si affaccia alla finestra, la madre urla e cerca di attirare la sua attenzione. Lei risponde: «Calma, calma», mentre cala una corda di lenzuola con cui prende il cibo preparato dai poliziotti, richiesto da Lindemberg in una telefonata precedente. Anche il passaggio del cibo diventa un tema di approfondimento per le televisioni, che banalizzano il sequestro e si chiedono come trascorrono le ore dentro l’appartamento.
La tragica svolta
Il momento chieve è la liberazione di Nayara, l’ultima amica di Eloá rimasta nell’appartamento. A quel punto la polizia prende una decisione delicatissima: chiede alla ragazza di tornare nell’appartamento, per «aiutare nelle negoziazioni», nonostante Lindemberg sia rimasto fermo nel suo proposito di uccidere l’ex fidanzata.
Questa scelta, a posteriori, verrà definita un errore madornale. Scattate le 100 ore dall’inizio del rapimento, infatti, la polizia sfonda la porta d’ingresso: Nayara è ferita ma viva, Eloá invece viene portata via in ambulanza. Lindemberg ha sparato a entrambe ma le condizioni dell’ex fidanzata appaiono critiche fin da subito: la ragazza morirà in ospedale poche ore dopo.

Il documentario su Netflix
La famiglia di Eloá Pimentel decide di donare gli organi della ragazza. Sette persone diverse ricevono il suo cuore, un polmone, il pancreas, il fegato, i reni e le cornee.
Il processo a carico di Lindemberg Alves si svolge nel febbraio 2012 e termina con una condanna a 98 anni di prigione, poi ridotta a 39 anni (attualmente si trova in semilibertà). Alla famiglia di Eloá non viene riconosciuto alcun risarcimento. La vicenda avrà anche conseguenze a livello legislativo: nel 2018 il governo brasiliano approva protocolli più severi sul ruolo dei media nel corso di casi di cronaca.
Ma il tragico epilogo del sequestro lascia anche una domanda in sospeso: la morte di Eloá si poteva evitare? L’interrogativo se lo pone il giornalista Fabio Diamante nel documentario di Netflix Ostaggio in diretta: «La scientifica dovrebbe chiarire se il colpo è stato sparato prima, o se la sparatoria è stata innescata dall’ingresso della polizia».
19 novembre 2025
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