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Le regole del Bite Club, l’associazione di chi è stato morsicato da uno squalo ed è ancora qui per raccontarlo

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La prima regola del Bite Club (letteralmente: il Club del morso) è che par farne parte bisogna essere stati azzannati da un animale feroce. Per questo, non sono in molti ad aspirare a un’adesione. E, per lo stesso motivo, chi lo ha creato non spera certo in un aumento dei soci. Il nome del club, non esente da black humour, è stato scelto dal suo fondatore, l’australiano Dave Pearson, che lo ha creato nel 2013, nella forma di una pagina Facebook privata, come evoluzione di una precedente associazione nata nel 2012 con un nome più innocente: Beyond the Bite.

La scelta di questa prima denominazione – «Al di là del morso», nel senso di tutto-ciò-che-avviene-dopo-che-si-è-stati-azzannati – non è casuale. Infatti, lo scopo principale del «club» è offrire uno spazio di confronto a chi è sopravvissuto all’aggressione di un animale potenzialmente letale con particolare attenzione alla «fase due» del ritorno alla normalità, quella che segue l’attenzione mediatica a cui spesso si è sottoposti «a caldo», com’è accaduto proprio pochi giorni fa a Eleonora Boi, la moglie del cestista Danilo Gallinari, morsa alla gamba, nei pressi di una spiaggia di Portorico, da uno squalo nutrice. Perché è proprio allora, e cioè quando rimane il dolore fisico e scema quella scarica di adrenalina che spesso accompagna la consapevolezza di averla scampata per un pelo, che si manifestano i problemi più grossi.

Nel 2011, mentre provava la sua nuova tavola da surf, lo stesso Pearson, ora sessantaduenne, è stato morso a un braccio da uno squalo toro di tre metri nelle acque di Crowdy Head, nel Nuovo Galles del Sud, a circa quattro ore di macchina da  Sydney (l’Australia è il secondo Paese dopo gli Stati Uniti in cui si verificano più attacchi all’uomo da parte degli squali). Nel momento in cui i denti affondano nella tua carne, ha raccontato Pearson al Guardian, ti rendi improvvisamente conto «che non ti trovi all’apice della catena di predatori che ci sono sul pianeta». Il fondatore del Bite Club sa quindi dalla sua esperienza che nei mesi e negli anni successivi a un’esperienza così estrema – e così rara da infondere spesso nelle poche persone che appartengono alla categoria dei «sopravvissuti al morso» un’intensa sensazione di solitudine – possono insorgere molti disagi, fisici e psicologici, anche di lunghissima durata. Pearson ha raccontato al New York Times di aver ricevuto, qualche anno fa, la chiamata di un operatore di una casa di riposo che gli chiedeva aiuto per un paziente di più di ottant’anni affetto da Alzheimer che, pur avendo ormai dimenticato moltissime cose del suo passato, continuava però a soffrire di terribili incubi notturni che gli facevano rivivere l’incontro ravvicinato con uno squalo da lui vissuto nel 1955.

La pagina Facebook del Bite Club funziona quindi come un forum in cui scambiarsi informazioni mediche, come una help line per i momenti di sconforto e come un gruppo di supporto per la gestione dello stress post-traumatico (c’è anche uno psicologo che offre sostegno a titolo gratuito). Il club, che è aperto non solo ai sopravvissuti ai morsi degli squali ma anche a persone che sono state attaccate da leoni, coccodrilli, ippopotami, alligatori e orsi, ha attualmente poco più di cinquecento soci: soprattutto vittime dirette di attacchi, ma anche qualche loro familiare e qualche soccorritore.

Nel 2018 questa associazione ha anche ispirato una serie tv australiana, con lo stesso nome – Bite Club, appunto – in cui due detective della squadra omicidi, sopravvissuti entrambi all’attacco di uno squalo, indagano su un serial killer che colpisce persone che hanno avuto la loro stessa traumatica esperienza. Tanto per non farsi mancare nulla.

6 agosto 2025

6 agosto 2025

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