
Diplomifici, lauree facili, assunzione di precari, «sviluppi di carriera» nel pubblico impiego: quale Italia si prepara per le future generazioni?
Nel luglio del 2023, «Tuttoscuola», una testata specializzata nel settore dell’istruzione, attiva da cinquant’anni, ha segnalato che 30 mila studenti si erano trasferiti dalla scuola statale a quella paritaria, nel passaggio tra il penultimo e l’ultimo anno dell’istruzione superiore. Questi passaggi di proporzioni inaspettate, e chiaramente diretti a ottenere un diploma di scuola superiore con maggiore facilità, sono concentrati in tre regioni e in particolari istituti. Il ministero dell’Istruzione (oggi anche «del merito») ha reagito moltiplicando le ispezioni, revocando la parità al 10 per cento degli istituti, ma solo alla fine del marzo di quest’anno è stato adottato un decreto legge per il contrasto dei cosiddetti diplomifici, che esclude la possibilità di attivazione di più di una classe terminale collaterale per ciascun indirizzo di studio già funzionante in una scuola paritaria, così riducendo l’offerta di percorsi facili. Come si può immaginare, il contenzioso è stato notevole e il problema non è stato ancora risolto.
Un fenomeno non molto diverso si verifica nell’università, con i trasferimenti da università di consolidata tradizione a università di recentissima istituzione, prevalentemente telematiche, senza un vero e proprio corpo docente.
Queste università sono anche prive di biblioteche, laboratori e progetti di ricerca, e prendono a prestito insegnanti spesso molto esperti, salvo che nell’educare. Il numero degli iscritti al primo anno di corso nelle università telematiche è cresciuto 8 volte negli ultimi 13 anni e il numero di studenti di università che si è trasferito prima della laurea in un’università di recente istituzione è raddoppiato negli ultimi quattro anni. Lo scopo è quello di ottenere un diploma di laurea seguendo un percorso che nei fatti è facilitato, proprio per attrarre studenti. La stessa dinamica è riscontrabile per i corsi attivati per l’abilitazione alla professione di insegnante.
Passando dalla scuola all’impiego con le pubbliche amministrazioni, si può notare un ulteriore fenomeno di abbassamento dei criteri selettivi. Allo scopo di ridurre il precariato, si prevedono immissioni in ruolo di docenti, riservando posti a coloro che non sono rientrati nelle graduatorie dei vincitori. Quindi, non solo aumenta il numero degli addetti alla scuola mentre diminuiscono gli allievi, ma si prevedono «scorrimenti» utilizzando graduatorie di vecchi concorsi, peraltro semplificati. Con formule diverse, si fa entrare in ruolo candidati che, pur idonei perché hanno superato la prova orale con il punteggio minimo previsto, non rientrano tra i vincitori. Ciò fa pensare che i governi siano più interessati a sistemare precari, senza indire nuovi concorsi, che a dare agli studenti insegnanti capaci.
Infine, tradendo uno dei motivi per i quali, nel 1972, Giulio Andreotti introdusse la dirigenza (facilitare i passaggi dall’area privata all’area pubblica e viceversa), per un terzo dei posti dirigenziali del primo e del secondo livello è previsto, in luogo di un concorso, il cosiddetto «sviluppo di carriera» con «prove esperienziali». Si crea così una carriera scalare verticale nonostante che le pubbliche amministrazioni non siano capaci di valutare i propri addetti: il 98 per cento del personale pubblico ottiene il punteggio massimo. Quindi, da un lato si corre ai ripari, dall’altro si continua con il vecchio andazzo.
Le azioni e le misure indicate tradiscono la Costituzione, sono ingiuste e danneggiano il Paese, provocando un peggioramento nel funzionamento dello Stato e nella qualità dei servizi, a detrimento dei cittadini.
La Costituzione, all’articolo 34, prevede che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, abbiano diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi e che la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, con assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso. La parola concorso è usata ben quattro volte dalla Costituzione, ovunque si tratti di benefici o posti, per assicurare a tutti eguali possibilità di accesso. Questa è una delle molte promesse costituzionali non mantenute.
Quello che sta accadendo è inoltre ingiusto perché non dà eguali «chances» alle diverse generazioni: se si gonfiano i ruoli pubblici oggi, le generazioni di domani non troveranno sbocchi di carriera nel settore pubblico. Dunque, c’è una violazione della giustizia intergenerazionale.
Le conseguenze dei quattro mali descritti sono sotto gli occhi di tutti. L’emigrazione verso l’estero, in sensibile aumento rispetto al 2023, negli ultimi vent’anni si è quasi quadruplicata. Nel 2024 gli emigrati sono stati 191 mila, specialmente giovani alla ricerca di più opportunità di lavoro e di sviluppi più veloci di carriera, specialmente in Germania, Spagna e Regno Unito. Un terzo degli italiani non riesce a comprendere se non testi molto brevi e semplici e solo il 5 per cento raggiunge livelli adeguati di comprensione della scrittura. Dunque, stiamo preparando un pessimo futuro per le prossime generazioni.
4 aprile 2025
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