Da una parte un austero avvocato d’affari divenuto banchiere centrale: è nato nella composta aristocrazia del denaro di Washington, ha studiato dai gesuiti, discende da un nonno rettore della Scuola di legge della Catholic University of America. Dall’altra un immobiliarista convertito alla politica: più volte in bancarotta, asceso alla fama grazie a uno show televisivo (in cui gridava sempre «sei licenziato!»), discendente da un nonno immigrato dalla Baviera ad aprire hotel e postriboli per i cercatori d’oro. Il primo è presidente della Federal Reserve e ogni volta che appare in pubblico sembra che tutto lo stress del mondo esterno non lo sfiori. Il secondo è presidente degli Stati Uniti e ormai è al punto di insultare regolarmente l’altro: «È tremendo: penso sia una persona molto stupida, ottuso e ostinato, ha un quoziente d’intelligenza sotto la media. Pagheremo la sua incompetenza per anni».
Fra Donald Trump e Jerome (Jay) Powell non era detto che dovesse finire così. Non era detto finisse con il primo che ormai cerca di forzare la mano all’altro e — secondo il Wall Street Journal — è tentato dal nominarne il successore in anticipo, in modo da depotenziare al più presto l’attuale capo della Fed prima che scada il suo mandato a maggio del 2026. La voce, da sola, ieri è bastata a far scendere il dollaro ai minimi dal 2021 sull’euro. Non era detto che si doveva a questo livello di ostilità, se non altro perché nel 2018 era stato Trump stesso a nominare Powell alla guida della banca centrale.
Powell è un repubblicano classico, transitato dal private equity, dal Tesoro sotto George Bush padre e nel mondo delle banche d’affari, prima di essere nominato nel consiglio della Fed dal presidente democratico Barack Obama nel 2012. È lì che Trump, o più probabilmente qualcuno dei vecchi consiglieri dell’establishment, l’ha trovato durante la sua prima presidenza.
Ma la seconda è un’altra storia. Non solo il presidente è più sicuro di sé, ha un controllo ferreo sul suo partito ed è libero da consigli non richiesti dei vecchi repubblicani moderati. Anche i numeri sono cambiati. Quando Trump nominò Powell la prima volta, il governo federale pagava circa 500 miliardi di dollari in interessi l’anno: poco più della metà delle spese per la difesa e dunque gestibili. Oggi invece paga oltre mille miliardi di interessi all’anno sul suo debito e questa cifra supera per la prima volta la spesa militare; Niall Ferguson di Stanford, uno storico dell’economia tutt’altro che ostile a Trump, considera questo sorpasso un sintomo di declino della potenza americana.
Tutto questo alimenta l’offensiva contro Powell. Trump ha bisogno di tagli dei tassi della Fed per ridurre il costo in interessi del debito, mentre lui stesso continua a tagliare le tasse (in gran parte) ai ricchi con il celebre «One Big Beautiful Bill» e prepara anni e anni di nuovi deficit elevati in futuro. «Non vogliamo pagare 900 miliardi (in interessi, ndr) solo perché lui non vuole tagliare i tassi». La presunta colpa del banchiere centrale è proprio questa: ha registrato che i dazi di Trump hanno già innescato un lieve aumento dell’inflazione nel Paese (il 2,4% di maggio, dopo il 2,3% di aprile), dunque vuole aspettare a ridurre il costo del denaro. Ha spiegato Powell pochi giorni fa al Congresso, con una inesorabilità che a Trump dev’essere parsa esasperante: «Guardando dallo specchietto retrovisore, si può costruire un argomento per un paio di tagli. Ma la ragione per cui non ci siamo è che tutti i previsori dicono che ci si può aspettare un aumento significativo (dell’inflazione, ndr)». I tassi della Fed sono oggi al 4,25-4,50%, scesi dell’1%. E per ora ci restano.
Intanto però un gruppo di aspiranti successori di Powell si agita già, proponendo un allentamento di politica monetaria per ingraziarsi il presidente: fra loro il favorito Christopher Waller (già oggi alla Fed) e la vicepresidente della stessa Fed Michelle Bowman. Da vedere se, con uno di loro, cadrà anche l’autonomia di quella che oggi resta l’ultima delle autorità indipendenti sotto Trump.
27 giugno 2025 ( modifica il 27 giugno 2025 | 07:35)
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