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Le famiglie degli ostaggi e la scelta di far vedere le foto. «La guerra deve finire»

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DAL NOSTRO INVIATO
TEL AVIV –  Sul sacco vuoto che è ormai il corpo degli ostaggi israeliani si sfidano le due propagande. Hamas ha affamato i prigionieri e allestito il set per dire agli israeliani e ai loro familiari che senza tregua, senza afflusso di aiuti il destino dei prigionieri sarà quello di pagare con la vita la vita di tutti i gazawi. La scelta delle famiglie delle vittime di permettere la pubblicazione del video va paradossalmente nella stessa direzione.

Nei media israeliani, nella maggioranza di loro, non compaiono le immagini sconvolgenti di Gaza. Da quasi due settimane alle manifestazioni del comitato dei parenti degli ostaggi, invece, c’è qualcuno che mostra le foto della fame di Gaza. Chiede libertà per i prigionieri e allo stesso tempo denuncia la guerra. È stato come rompere un tabù. Un modo per accumunare nel rispetto delle Convenzioni internazionali sia la popolazione non belligerante sia gli ostaggi. Spesso le famiglie avevano preferito non divulgare le immagini che ricevevano dai rapitori, ma in questo caso, quelle clip così impattanti dovevano dare un colpo allo stomaco anche a quella parte di opinione pubblica che è più distratta o più preoccupata di vincere la guerra che di salvare dei concittadini.

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Da parte del governo Netanyahu si è fatto il possibile per rovesciare unicamente addosso ad Hamas il peso morale della sofferenza mostrata dai due ostaggi. Accanto all’ovvio disgusto, all’accusa di barbarie, il governo israeliano ha ignorato qualsiasi richiesta di negoziato per puntare alla soluzione di forza. La giustificazione è che non si può trattare con il male assoluto.

Il ministro degli Esteri Gideon Saar ne ha approfittato per uscire dall’angolo comunicativo in cui Israele era finito da qualche settimana. La fame a Gaza ha scandalizzato il mondo, ci sono state prime pagine, interviste da dentro la Striscia. Ora Saar chiede una reazione sdegnata anche per la sofferenza imposta agli ostaggi. Altrimenti, è la bomba retorica sganciata in continuazione in questi mesi, scatta l’accusa di antisemitismo.

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Quando il New York Times ha ammesso di aver pubblicato per errore la foto di un bimbo con una malattia congenita presentandolo come affetto (solamente) da malnutrizione, la macchina informativa israeliana è saltata sul caso. Ha chiesto rettifiche in prima pagina, ha accumunato tutte le altre immagini uscite dalla Striscia a quella del bimbo che era scheletrico sì, ma (non solo) per fame, (anche) per altre malattie preesistenti. Non una parola in quel caso sul fatto che la «smentita» della diagnosi di malnutrizione sia venuta da un medico palestinese di Gaza. Proprio uno di quelli che certificano la morte di altri pazienti per fame e a cui l’Israele ufficiale non vuole credere.

Proprio ieri due deputati governativi, Simcha Rothman e Tali Gottlieb, hanno contestato alle famiglie l’«errore» della diffusione dei video degli ostaggi ridotti a «scheletri viventi». «Dovete tacere» ha detto uno dei due. Le famiglie hanno reagito. «Qualsiasi persona sana e sensibile che osserva in che condizioni sono ridotti gli ostaggi capisce che devono tornare a casa subito. A differenza di voi che avete scelto di chiudere gli occhi, il popolo di Israele ha visto come stanno i due ostaggi e a grande maggioranza chiede che tornino tutti e 50 a casa e che i combattimenti finiscano». «A grande maggioranza» scrive il Forum delle famiglie. Non è detto che abbiano ragione. 

5 agosto 2025

5 agosto 2025

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