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Laura Morante diventa Grazia Deledda: «Un film su mia zia Elsa? No. Da bambina mi spaventava. »

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un certo punto il destino le saltò addosso. «Quasi Grazia»
di Peter Marcias, atteso al Torino Film Festival, è il film su Grazia Deledda, con Laura Morante nei panni della scrittrice che vinse il Nobel della letteratura. Ruolo che, nelle diverse età, divide con Irene Maiorino e Ivana Monti, mentre nel ruolo della madre della scrittrice c’è Monica Demuru

Chi era Grazia Deledda?
«Una donna con una straordinaria tenacia e passione, da cui non demorde malgrado le difficoltà, lo scetticismo, l’incredulità. Era un mondo maschile. Anche alcuni intellettuali la disprezzavano, Pirandello la prendeva in giro. Veniva dalla Sardegna, che era una terra arretrata, eppure all’epoca c’erano tanti intellettuali. L’arrivo a Roma rappresenta per lei l’indipendenza, il fatto di non sentirsi più sorvegliata nei suoi gesti».

È stata dimenticata.
«Le fortune degli scrittori sono misteriose, c’è chi riemerge dall’oblio dopo cent’anni, è una cosa difficile da dire, il successo in vita per gli artisti non ha significato una garanzia per il successo futuro. Stendhal scrive a Balzac, a proposito dell’insuccesso di La Certosa di Parma: “Se avessi scritto con lo stile di Madame de Stäel, avrei avuto successo”. Oggi però nessuno la legge più. I grandi libri hanno bisogno di tempo».

E un film su un’altra scrittrice, sua zia Elsa Morante?
«Non lo farei io. Il rapporto familiare mi impedisce di apprezzarla del tutto come scrittrice. Quando si arrabbiò con Pasolini che mi voleva nel “Decameron”, lì aveva ragione, ero troppo piccola. Ma era difficile, da bambina mi spaventava, esprimeva il proprio disprezzo in modo categorico, apodittico, sulle persone. Quando la leggo non riesco a fare un’astrazione, non riesco a innamorarmene. Elsa, che era la sorella maggiore di mio padre, non capì minimamente mia madre, si era messa in testa che fosse una piccolo borghese perché totalmente priva di ambizione, mamma era sempre dalla parte degli ultimi, diceva che Berlusconi le faceva pena perché voleva tanto piacere».

Questa destra che sembra voler punire il cinema, territorio «rosso»?
«L’impressione del regolamento di conti c’è tutta, l’aria è quella. C’è il criterio aberrante secondo cui si fa coincidere il valore di un film col suo successo. Allora La terra trema di Visconti o Umberto D di De Sica non sarebbero mai nati. È pericoloso l’assioma, che riguarda tutte le arti: non guadagni niente allora non vali niente».

Lei fa anche recital di teatro musicale. Che idea s’è fatta di Beatrice Venezi?
«Si comporta da star, ci ho lavorato per uno spettacolo e al momento degli applausi la invitai a prenderli, lei rispose: no, io esco per ultima. Allora vado io, replicai. Ho tanti amici musicisti e non ce n’è uno che pensi che debba andare a quel ruolo apicale alla Fenice».

Nel film si parla molto di destino. Lei ci crede?
«Le nostre scelte sono decisive per determinare il percorso che facciamo nella vita. Io mi diverto a ricostruire la mia biografia sulla base di coincidenze: se non fossi andata a quella cena… Ci sono frequenti casi di persone meritevoli che hanno poco, ed è vero il contrario. Tutti gli impressionisti sono morti in miseria, a parte Caillebotte che era ricco di suo e Monet e Renoir che vissero a lungo. Per nostra fortuna, non hanno cambiato stile per essere più accettati».

E lei, come artista, è sempre stata coerente?
«Io non mi considero una artista. Non essendo per natura avida, ho rinunciato talvolta a guadagni alti per non fare una cosa che non mi piaceva. Ma quando c’era da pagare l’affitto, ho accettato compromessi che non mi facessero vergognare».

Rimpianti?
«Tendo a non averne. L’unica cosa, ho sbagliato quando non ho osato per paura. Per esempio, io prima ero ballerina e Carolyn Carson, la grande coreografa, stava per formare una compagnia italiana. Non mi presentai pensando figurati se mi prende. Andai allo spettacolo e vidi una danzatrice meno preparata di me».

La famiglia Deledda era un coacervo di egoismi.
«La madre le diceva, con la tua smania di scrivere siamo sulla bocca di tutti. Io ho tanti fratelli e sorelle e siamo felici. Ho due figlie attrici ormai adulte che non sgomitano, e mi somigliano, non ho mai avuto il sacro fuoco. Ho una nipotina di sei anni, Anita. Mi piace essere nonna nella vita. Ormai al cinema faccio solo questo. Mi mettono la parrucca bianca e mi fanno i segni sul viso. Tutto sommato, me ne importa poco».

19 novembre 2025

19 novembre 2025

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