
Intorno al latino girano pregiudizi e opinioni fragili. Gli insegnanti di latino di rado prendono posizione pubblica in sua difesa, come se non ci credessero più o non volessero disturbare o temessero, dicendo la loro, di denunciarsi a chissà quale tremenda polizia. Quelli che non conoscono una parola di latino lo vorrebbero buttare alle ortiche. Benché incompetenti nel massimo grado, sono questi quelli che più si aspettano di trovare credito; sicuramente, sono questi quelli che più si fanno sentire.
I sostenitori — politici, scienziati, opinionisti più o meno patentati (stavo per dire intellettuali, ma quelli non esistono più) — propongono argomenti di scarsa sostanza. Uno afferma che il latino serve alla memoria e alla capacità di ragionamento e che apre tutte le porte, un altro sospirando confessa che lo riporta agli anni della giovinezza, un altro lo considera una parte irrinunciabile dell’identità nazionale. Io, che sto con i sostenitori (sono stato prof di latino, non lo nascondo, e con il latino passo ancora parecchio tempo), avrei altre ragioni. Anzitutto mettiamoci d’accordo sul significato del concetto di latino. Si tratta di una lingua antica e si tratta di una lingua antica che ha determinato la storia del mondo. Va da sé che ha agito sia come lingua parlata sia come lingua scritta. Il latino parlato si è trasformato nel corso dei secoli, dando luogo a un gran numero di idiomi, le cosiddette lingue romanze, compresi il nostro italiano e molti dialetti dell’italiano, e immettendo massicce quantità di vocabolario anche in una lingua germanica come l’inglese. Quello scritto, invece, si è perpetuato in forme regolari, nei più vari generi letterari, opponendosi alla corrente del tempo trasformatore. In poche parole, si è dato una grammatica e un’estetica. Si è fatto letteratura. Servono nomi esemplari? Cicerone, campione della prosa, e Virgilio, campione della poesia, ai loro tempi e nei secoli futuri.
L’umanesimo dei secoli XIV e XV, che riportò alla luce molti testi, è parte fondamentale della vita del latino, e lo sono anche Dante, che con la Divina commedia lancia un ponte verso l’antichità, ricongiungendosi direttamente a Virgilio e ad altri, o Ariosto e Shakespeare con il loro culto di Ovidio. Tuttora gli scrittori delle più varie lingue dialogano con gli scrittori latini. Altro che identità nazionale! Si parli, piuttosto, di dialogo internazionale. Il dialogo, per sua naturale tendenza, crea un’incessante opera di variazione, conscia e inconscia. Nessuno, dialogando, si limita a ripetere. Nessuno, dialogando, resta fermo nella posizione di partenza, chiuso nella sua stanzetta.
Esiste anche tutta una letteratura latina moderna, cioè successiva alla caduta dell’impero romano, sia in Italia sia fuori d’Italia. Il medioevo e il rinascimento, almeno fino a un certo punto, sono culture prevalentemente di lingua latina. Dante scrive la Divina commedia e si batte per il trionfo del volgare, ma ha anche una sua produzione latina tutt’altro che irrilevante. Ancor di più questo bilinguismo si constata nell’opera di Petrarca, che è per lo più latino, e in Boccaccio, che in Europa riscuote grandissimo credito con i suoi trattati latini. Il Quattrocento italiano è soprattutto latino, e in latino lascia capolavori. Nel Cinquecento il volgare riprende il sopravvento, ma il latino continua a vivere e a procreare: basti citare quel capolavoro che è la Syphilis di Fracastoro, poemetto scientifico sull’origine della sifilide, dove il modello virgiliano si incontra con la moderna ricerca medica. L’Elogio della follia di Erasmo e l’Utopia di Thomas More, manifesti europei di modernità, sono scritti in latino. Il francese du Bellay scrive bellissime elegie in latino; il suo connazionale Montaigne scrive in francese, ma pensa in latino, e di citazioni latine riempie i suoi Saggi. Perfino un campione del volgare come Ariosto inizia come poeta in latino. E, seppure più non scriva in latino, di latino si nutre un maestro della modernità come Leopardi. Manzoni, dando agli italiani il loro primo romanzo, scomoda non poche volte Virgilio, e perfino Apuleio. Al latino guarda ininterrottamente, in pieno Novecento, un poeta innovatore come Andrea Zanzotto. Di latino si nutrono praticamente tutti, scrivendoci, leggendolo, traducendolo. Lo stesso Marinetti, iconoclasta quanto si voglia, a un certo punto si mette a tradurre la Germania di Tacito.
Il discredito cui lo studio del latino è costretto in questi tempi riflette un’idea banalmente opportunistica di conoscenza, oltre che propagandare un’idea erratamente utilitaristica di lingua: lingua come strumento, lingua come cosa di tutti, lingua che c’è sempre e comunque… Non è così. La lingua è un fine prima che un mezzo, perché è ricerca: ricerca del senso e dei modi in cui esprimere il senso e costruire un mondo comune. La lingua è solo di chi la costruisce. Parlare non basta. Bisogna pensare con le parole. Il latino scritto è costruzione e pensiero. Per questo io sono un sostenitore del latino.
Già da questa manciata di osservazioni emergono varie dimensioni, ognuna delle quali suggerisce un certo aspetto del latino e, conseguentemente, un certo modo di affrontarne lo studio: la lingua (grammatica e lessico) e la storia della lingua (lessico, semantica, etimologia, fonetica), la letteratura e la storia della letteratura (autori, opere, testi), la memoria letteraria, gli stili e i settori specialistici (scienza, religione, epigrafia, diritto), la tradizione, la filologia, il medioevo e l’umanesimo, la fortuna moderna dei testi antichi.
I giovani possono studiare il latino nei modi più vari e più creativi, e la scuola deve guidarli con sapienza e con generosità, nel rispetto delle inclinazioni individuali, sempre infondendo il piacere della novità e della sorpresa. Al latino, naturalmente, chiunque si può avvicinare in qualunque età. Bisogna, però, tenere a mente che la forza, l’energia e la ricchezza di visioni che ne possono trarre i giovani sono incomparabilmente maggiori e incomparabilmente più capaci di portare vantaggio a tutta la società.
Lo studio del latino è ideale per i giovani, perché è esperimento, interlocuzione sempre aperta. È laboratorio, dove le sostanze sono la lingua e il pensiero, e il fine la rivelazione di un tempo antico che ancora ha molto da illuminarci sul già fatto e sul da farsi. Conoscere il latino, in qualunque forma, vuol dire imparare che tutto quel che facciamo è storia e deve tradursi in coscienza della nostra storicità. Per tale ragione fondamentale io ritengo che occorra sostenere, prima ancora che il latino in sé, il «senso del passato». Che è una questione prioritaria, perché interessa il modo in cui le comunità civili si mantengono. Ne va della civiltà, cioè della volontà di allargare sempre di più l’orizzonte, perché solo la visione panoramica supera le distanze, senza eliminarle, e fa convivere la molteplicità nell’armonia.
Lo strumento che ha fatto di noi ciò che siamo: per un mese a euro 9,90
È in edicola da martedì 8 aprile con il «Corriere» (e vi rimarrà per un mese) il libro di Nicola Gardini Viva il latino. Storie e bellezza di una lingua inutile (pp. 244, euro 9,90 + il prezzo del quotidiano), pubblicato nel 2018 da Garzanti e in questa nuova edizione arricchito da una introduzione inedita dell’autore della quale anticipiamo qui una parte. Gardini parte da una domanda: «A che cosa serve il latino?». E spiega come questa lingua abbia determinato la storia del mondo. Si tratta dello strumento espressivo che è servito e ancora serve a fare di noi quelli che siamo. In latino, un pensatore come Lucrezio ha analizzato attraverso i propri versi la materia del mondo; poeti come Catullo, Ovidio e Properzio hanno raccontato l’amore; Cesare ha affermato la capacità dell’uomo di modificare la realtà con la disciplina della ragione; in latino è stata composta un’opera come l’Eneide di Virgilio, senza la quale guarderemmo al mondo e alla nostra storia di uomini in modo diverso. «Studiare il latino — dice Gardini — è arrivare a capire il proprio e il diverso di tutto un sistema culturale e intellettuale».
6 aprile 2025 (modifica il 6 aprile 2025 | 19:56)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
6 aprile 2025 (modifica il 6 aprile 2025 | 19:56)
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