L’arte di Milano si fa in dodici. Le mostre delle feste nei Musei civici

di STEFANO BUCCI Il Novecento di Picasso e Mulas, i sogni di Tim Burton, la Madonna di Barocci, Munch, Baj. Un itinerario culturale che attraversa tempo, spazio e generi: tutti gli appuntamenti

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Una città allo specchio. Milano si racconta attraverso l’arte. O, meglio, come recita il programma di «Feste in mostra» 2024, attraverso dodici mostre imperdibili nei suoi musei civici. Un modo «per rendere l’inverno e il Natale ancora più speciali». Restando felicemente sospesa tra grandi maestri, installazioni full-immersive e performance d’autore. Per un progetto di città globale dell’arte che, a Natale, può contare anche sulle mostre del Museo Diocesano (l’Adorazione dei Magi di Botticelli, fino al 2 febbraio); del Pirelli HangarBicocca (Saodat Ismailova, fino al 12 gennaio); della Fondazione Prada (Meriem Bennani, fino al 24 febbraio); della Triennale (Elio Fiorucci, fino al 16 marzo, e Gae Aulenti, fino al 12 gennaio).

Dopo (in ordine sparso) Raffaello, Rubens e Perugino, tocca stavolta a Federico Barocci (1535-1612) con la Madonna di San Simone occupare (fino al 12 gennaio) la Sala Alessi di Palazzo Marino, storico salone di rappresentanza del Comune, per un appuntamento (gratuito) con la grande arte diventato ormai una bella consuetudine. Realizzata tra il 1566 e il 1567, la pala monumentale «conferma» i legami di Barocci con Milano, città con la quale l’artista ha intrattenuto importanti e continuativi rapporti per alcune opere, in particolare per la Fabbrica del Duomo. Un’opera che, spiegano i curatori, «parla al cuore, che tocca le corde affettive, che ci coinvolge con la sua impetuosa dolcezza, la sua amorevole gentilezza».

Picasso lo straniero (fino al 2 febbraio a Palazzo Reale) indaga una parte non ancora studiata della vita e produzione dell’artista (1881-1973): il sentirsi, appunto, straniero e non accettato (lui spagnolo) nella sua terra d’adozione, la Francia. Più di ottanta opere in mostra, oltre a documenti, lettere, fotografie e video, ci fanno riflettere sui temi dell’accoglienza, dell’immigrazione e della relazione con l’altro. E su come l’essere «straniero» abbia formato l’identità di Pablo Picasso. Sempre sulle orme dei maestri, ancora Palazzo Reale propone fino al 26 gennaio Munch. Il grido interiore, ritratto a tutto tondo di uno dei padri dell’Espressionismo, Edvard Munch (1863-1944), a ottant’anni dalla morte. La mostra racconta il percorso umano e l’arte di Munch grazie a un itinerario in cento opere, tra cui una delle versioni litografiche de L’Urlo (1895) e Notte stellata (1922–1924). Un viaggio idealmente scandito dalle parole dello stesso Munch: «Con la mia arte ho cercato di spiegare a me stesso la vita e il suo significato, ma anche di aiutare gli altri a comprendere la propria vita».

Nel centenario della nascita, Palazzo Reale celebra anche Enrico Baj (1924-2003), uno dei maestri della neoavanguardia, con la mostra Baj chez Baj (fino al 9 febbraio). Più di cinquanta opere che, dai primi anni Cinquanta all’inizio del Duemila, raccontano l’arte di Baj con i suoi personaggi immaginifici, surreali, grotteschi e (a modo loro) fantascientifici (le Dame, i Generali) che scardinano il conformismo a colpi di ironia. E con I funerali dell’anarchico Pinelli esposto di nuovo dopo dodici anni e che, dopo la mostra, entrerà a far parte dell’esposizione permanente nelle sale appena riaperte del Museo del Novecento.

Dalla pittura alla fotografia il passo è breve, anzi brevissimo soprattutto se si parla di Ugo Mulas (1928-1973) che, sempre a Palazzo Reale, viene raccontato dalle duecentocinquanta fotografie della rassegna Ugo Mulas. L’operazione fotografica (fino al 2 febbraio). Un racconto di storie, di ispirazioni, di passioni, di moti dell’anima che hanno reso unica e irripetibile la filosofia di Mulas, così da lui stesso riassunta: «Al fotografo il compito di individuare la sua realtà, alla macchina quello di registrarla nella sua totalità».

Due fotografi, due decenni diversi, lo stesso luogo: questa è Insulae Aqua, la mostra all’Acquario Civico (fino al 19 gennaio). Gianni Berengo Gardin (1930) e Filippo Romano (1968) sono i protagonisti di un omaggio all’isola di Linosa, in Sicilia, «indagine fotografica in ascolto del territorio e della comunità che abita questa piccola terra vulcanica incontaminata dai paesaggi peculiari e volti affascinanti». Le foto scattate in bianco e nero nel 1991 da Berengo Gardin si accostano al reportage a colori, realizzato tra il 2021 e il 2024, con quasi quaranta scatti di Romano.

Anche quella di Alberto Martini (1876-1954), protagonista della mostra Alberto Martini: la danza macabra aperta fino al 19 gennaio al Castello Sforzesco (Salette della Grafica) e organizzata per i settant’anni dalla morte, potrebbe essere definita un’indagine. Un’indagine nell’immaginario, a cominciare da quello ispirato alla narrativa di Edgar Allan Poe che accompagnerà Martini per quasi quarant’anni della sua vita, segnandone profondamente le vicende, sia umane che artistiche. Simbolista, esponente dell’arte fantastica, tra i precursori del Surrealismo, Martini ha creato immagini non solo per Poe ma anche per le edizioni di Dante, Rimbaud, Baudelaire, Shakespeare, ispirando Dylan Dog come Hitchcock.

La personale Marcello Maloberti. Metal Panic al Pac (fino al 9 febbraio) vuole essere prima di tutto una dichiarazione d’amore dell’artista (1966) per Milano. Un omaggio arrabbiato («Mi piace l’arte arrabbiata. Un’arte che voglia sempre mettere in discussione il mondo»). Come arrabbiata appare l’arte di Jean Dubuffet (1901-1985), protagonista (o meglio tra i protagonisti) della mostra Dubuffet e l’Art Brut. L’arte degli outsider al Mudec (fino al 16 febbraio) che vuole celebrare la straordinaria potenza espressiva di un’arte «brutta», che rompe i canoni della tradizione, un’arte diversa e prepotentemente attuale. Come diversa e prepotentemente attuale appare l’arte di Niki de Saint Phalle (1930-2002), al centro della retrospettiva in corso fino al 16 febbraio, sempre al Mudec. Passando indenne dal movimento femminista degli anni Sessanta e Settanta al Nouveau réalisme di cui era stata protagonista, Niki ha sfidato senza paura gli stereotipi di genere tramite l’arte, esprimendo la propria identità attraverso la femminilità, la sensualità, la joie de vivre. Come ben dimostrano le 110 opere (e il lavoro monumentale che apre il percorso all’esterno) di questa prima retrospettiva antologica completa organizzata in un museo italiano.

Luogo di promozione della creatività giovanile, di intrattenimento e aggregazione, la Fabbrica del Vapore assembla in contemporanea due universi fuori dai consueti schemi estetici: da una parte, Tim Burton’s Labyrinth (fino al 9 marzo), omaggio all’artista e regista statunitense Tim Burton (1958); dall’altra, Amano Corpus Animae (fino al primo marzo), a sua volta omaggio all’artista e illustratore giapponese Yoshitaka Amano (1952). Due esperienze immersive complementari che mettono a confronto le luci, i suoni, le scenografie, i disegni e i dipinti di Burton (raccolti appunto in un labirinto che ognuno può scegliere di percorrere a suo modo) con le tavole, le installazioni, i videogiochi progettati da Amano. Da una parte, Edward mani di forbice; dall’altra, Gatchaman. Perché l’arte è qualcosa di imprendibile, di insondabile e proprio per questo di molto affascinante.

16 dicembre 2024 (modifica il 16 dicembre 2024 | 11:56)

16 dicembre 2024 (modifica il 16 dicembre 2024 | 11:56)