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Desideriamo ciò che cattura il nostro sguardo, come suggerisce Hannibal Lecter a Clarisse Starling nel film Il silenzio degli innocenti; desideriamo anche ciò che si rivela nelle immagini trafugate. Ma il desiderio non si limita alla sfera dei beni materiali; esso abbraccia l’aspirazione verso affetti profondi, la ricerca della conoscenza, la realizzazione di sé e il riconoscimento sociale. È un motore interiore che scaturisce dal contrasto tra una percezione di incompletezza e il tentativo di raggiungere una pienezza, sia essa spirituale, emotiva o intellettuale. Paradossalmente, questa essenza ci spinge a desiderare ciò che non possediamo, ed è proprio in questa mancanza che il desiderio trova la sua più autentica realizzazione.
Ma che cosa accade quando l’assenza non si riferisce alla non-realizzazione del desiderio, ma al desiderare in sé? La moda, per citare una delle industrie culturali, non è intrattenimento né un mero produttore di sogni e, in quanto tale, dovrebbe continuare a generare idee desiderabili. Ogni mattina ci presentiamo al mondo attraverso i vestiti e gli accessori che scegliamo; costruiamo l’immagine di noi stessi, decidiamo quale racconto dell’io fornire e quale personalità indossare, oppure quale travestire.
Se è vero che il desiderio è una tensione tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere, tra ciò che possediamo e ciò che sogniamo, è altrettanto vero che la totale mancanza di questa pulsione porta i tratti somatici della noia e della depressione. Questi tratti sono riconoscibili nel quotidiano di molte culture «evolute» del nostro tempo; l’idea che tutto sia stato sperimentato e che il passato risulti sempre più stimolante del presente contribuisce a solidificare l’apatia futura. D’altro canto, la piena realizzazione dei nostri ardori è spesso utopica; tuttavia, il mancato raggiungimento della soddisfazione genera un’intensità di energia tale da creare un circolo virtuoso e vizioso nel mirare alla realizzazione del piacere massimo. È probabile che sia stata questa energia a spingere il più bello degli angeli a ribellarsi alla perfezione della divina serenità eterna, venendo cacciato da un luogo dove tutto è sospeso e non esiste desiderio, per cadere là dove la passione viene ricercata in maniera costante.
Oggi, molte industrie culturali hanno trasformato l’urgenza creativa in un’esigenza creativa. Il prodotto non è più il risultato di un’idea da integrare con strategie di distribuzione e promozione; esso viene creato per colmare perfettamente un vuoto — come un pezzo di puzzle che si incastra in uno scenario preesistente, senza interrogarsi sul cambiamento. È su quel vuoto che si innesta l’assenza di desiderio; è attraverso la serialità che gli stimoli sensoriali vengono meno e l’urgenza diventa esigenza. Desideriamo ciò che vediamo; vogliamo le cose che spiamo nei riflessi degli specchi o attraverso i buchi delle serrature. Il desiderio si forma a livello inconscio dopo aver ricevuto una serie di stimoli sensoriali — non necessariamente a livello cosciente ma quasi sempre visivo. Se la vista è indirizzata e organizzata a monte, finiamo per non vedere e diventa impossibile desiderare; si colma semplicemente il bisogno.
È interessante notare come «guardare», in un contesto riflessivo sul desiderio, non significhi necessariamente «vedere». Sebbene simili nell’attività voyeuristica, il peep show e la connessione a OnlyFans provocano effetti completamente diversi. Il tempo impiegato per prepararsi e recarsi al peep show accende la fantasia: l’incertezza su cosa accadrà oltre il vetro alimenta il motore del desiderio. D’altro canto, la facilità con cui si accede alla sessualità catalogata su OnlyFans riduce al minimo qualsiasi crescendo, trasformando tutto in pura meccanica: idea immaginifica contro soluzione nota.
La transizione da «urgenza creativa» a «esigenza creativa» rappresenta un cambiamento radicale nel modo in cui le imprese culturali concepiscono e realizzano il processo creativo. Questa evoluzione non solo riflette le dinamiche del mercato e della società contemporanea, ma solleva anche interrogativi fondamentali sulla natura stessa della creatività e sul suo ruolo nel contesto culturale. L’urgenza creativa è caratterizzata da una spinta intrinseca, un impulso quasi primordiale che spinge l’individuo a creare al di là delle necessità commerciali. Questa forma di creatività è spesso alimentata da passioni personali, esperienze vissute ma anche e soprattutto desideri irrealizzati; per non parlare di spinte innovative totalmente inesplicabili. È un fenomeno che non si limita a soddisfare richieste di mercato, ma cerca di esprimere una visione unica del mondo. Ciononostante, e quasi fosse un incidente di percorso, l’urgenza creativa, quella che in molti considerano paccottiglia, genera business attraverso l’attivazione di community che si identificano nella visualizzazione o verbalizzazione dell’atto creativo. Non è un caso, infatti, che spesso nelle imprese culturali, incluso le imprese tecnologiche, la/il Ceo siano tanto creativi quanto gli sviluppatori di software, gli artisti, i designer e cosi via.
Il contemporaneo — quell’emotivo scarto tra la nostalgia di ieri e la curiosità di domani — è segnato dalla sovrastimolazione: tutto è immediatamente accessibile, qui e ora, dall’informazione al consumo materiale. La continua esposizione a immaginari ideali finisce per anestetizzare l’esperienza più autentica. Se ogni pulsione può essere soddisfatta in uno spazio-tempo ristretto, l’attesa e il processo di ricerca si svuotano di significato; con essi anche il desiderio stesso. Il rischio è che l’appagamento diventi superficiale, lasciandoci in una condizione di insoddisfazione perpetua senza comprenderne le motivazioni. Non sorprende quindi che in alcuni contesti il vuoto (apatico) si diffonda con la velocità del nulla cosmico.
Il lusso di concedersi tempo e il tempo del lusso coincidono sempre più. Per recuperare il desiderio nel suo significato ancestrale, è necessario riappropriarsi del tempo qualitativo e della profondità, sviluppando una maggiore consapevolezza del bello in senso soggettivo piuttosto che oggettivo. Accettare la mancanza come parte integrante del quotidiano ci permette di riconoscere l’importanza di aspirare a ciò che non abbiamo ancora. È nell’assenza che potrebbe diventare presenza, nella distanza presumibilmente colmabile, nel non-qui e nel non-subito che il desiderio ritrova la sua forza generatrice.
Dialogo a Venezia sulla moda
Martedì 18 febbraio, in occasione dell’apertura del secondo semestre dell’anno accademico 2024-25, Alessio Vannetti sarà ospite del corso di laurea in Design della moda e Arti multimediali dell’Università Iuav di Venezia che organizza una conversazione a partire dal volume I racconti della moda (Einaudi, 2024) curato da Maria Luisa Frisa (Venezia, 1953). Vannetti dialogherà con Frisa, fondatrice del corso di laurea e curatrice del libro, per riflettere su temi quali la creatività, la formazione, i metodi e i processi nel fashion design contemporaneo. L’incontro, aperto al pubblico e ospitato alle 17.30 nell’aula magna del complesso dei Tolentini, sarà moderato da Gabriele Monti. Le riflessioni che Vannetti condividerà in quell’occasione toccheranno i temi anticipati nel testo che pubblichiamo in questa pagina. Maria Luisa Frisa, teorica della moda e curatrice, è professoressa ordinaria all’Iuav dove, oltre ad aver fondato il corso di laurea in Design della moda e Arti multimediali, dirige la rivista accademica «Dune. Scritture su moda, progetto e cultura visuale». Frisa, tra l’altro, ha pubblicato nel 2022, uscita per il Mulino, l’edizione aggiornata del suo saggio Le forme della moda e assieme a Chiara Tagliaferri conduce il podcast Sailor. Anatomia del corpo attraverso la moda. Il volume curato da lei uscito l’anno scorso contiene racconti di vari autori, tra i quali Irene Brin, Breat Easton Ellis, Jhumpa Lahiri, Gianna Manzini, Joyce Carol Oates, Lucio Ridenti e Pier Vittorio Tondelli, più un testo «disperso e ritrovato» di Michela Murgia.
16 febbraio 2025 (modifica il 16 febbraio 2025 | 15:32)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
16 febbraio 2025 (modifica il 16 febbraio 2025 | 15:32)
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