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La visita di Vance in Vaticano: l’incontro con Parolin (e non con il Papa) e il dialogo su guerre e migranti

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JD Vance è entrato ieri nel Palazzo apostolico come a compiere una parabola. Dai monti Appalachi alle Logge di Raffaello, in effetti, lo scarto è notevole. In Elegia americana ha raccontato l’ambiente dei proletari bianchi, quelli che non sono wasp e gli altri americani chiamano hillbilly, buzzurri, o magari white trash, spazzatura bianca. La nonna, sua figura di riferimento, aveva una fede cristiana tanto rocciosa quanto distante dai suoi aspetti istituzionali, «non riusciva a dire “religione organizzata” senza un tocco percepibile di disprezzo». Ma ora è il vicepresidente degli Stati Uniti a varcare la soglia della Città del Vaticano. Faccenda delicata, anche perché sono passati appena due mesi da quando papa Francesco, in una lettera del 10 febbraio ai vescovi americani, non l’ha mandata a dire all’amministrazione Trump e allo stesso Vance, in tema di migranti e non solo: «Ciò che è costruito sulla base della forza, e non sulla verità riguardo alla pari dignità di ogni essere umano, inizia male e finirà male».

Vance non viene ricevuto da Bergoglio perché non sarebbe comunque previsto, il Papa accoglie presidenti e capi di Stato, e del resto nella sua convalescenza ha sospeso le udienze e fatto eccezione solo per re Carlo III. Resta la possibilità di un saluto alla messa di Pasqua, stamattina a San Pietro. Così è il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato del Pontefice, ad accogliere con un sorriso il vicepresidente americano.

La scuola diplomatica vaticana insegna da secoli a dialogare sempre e con chiunque, una regola aurea che non conosce eccezioni perché se si interrompono i rapporti, non si può fare più nulla. La nota finale della Santa Sede, ieri pomeriggio, riassume il realismo vaticano. Da una parte si parla di un «cordiale colloquio» nel corso del quale «è stato espresso compiacimento per le buone relazioni bilaterali esistenti tra la Santa Sede e gli Stati Uniti d’America, ed è stato rinnovato il comune impegno nel proteggere il diritto alla libertà religiosa e di coscienza». Dall’altra si dice che «vi è stato uno scambio di opinioni sulla situazione internazionale, specialmente sui Paesi segnati dalla guerra, da tensioni politiche e da difficili situazioni umanitarie, con particolare attenzione ai migranti, ai rifugiati, ai prigionieri, e sono stati trattati anche altri temi di comune interesse».

Lo «scambio di opinioni» segnala i temi sui quali le posizioni divergono, per così dire. La Santa Sede chiede una pace «giusta e duratura» in Ucraina, con negoziati «senza precondizioni» che non possono escludere gli ucraini, ha spiegato più volte Parolin. Quanto alla «carneficina» di Gaza, il Vaticano è molto preoccupato per «la violazione sistematica del diritto internazionale». La crisi del multilateralismo, la legge del più forte: «Se il detto Pacta sunt servanda non ha più valore, se nessuno si sente più obbligato a osservare le regole sottoscritte, viene meno qualsiasi possibilità di relazioni giuste e pacifiche tra gli uomini».

Del resto, è sui migranti la distanza più evidente. Il Papa è stato netto contro il «programma di deportazioni di massa» di Trump. Proprio a Vance, che citava il concetto teologico di ordo amoris per dire che si ama anzitutto la famiglia e il proprio Paese, aveva replicato ricordando il Samaritano: non ci sono gerarchie. Convertito al cattolicesimo dal 2019, Vance ha abbozzato definendosi un baby Catholic. Resta il fatto che il taglio dei fondi Usaid, l’agenzia per lo sviluppo internazionale, è stato criticato dai vescovi e Vance li ha accusati di farlo per i soldi. L’ultima riga della nota vaticana cerca di ricomporre la frattura: «Si è auspicata una serena collaborazione tra lo Stato e la Chiesa cattolica negli Stati Uniti, di cui è stato riconosciuto il prezioso servizio».


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19 aprile 2025

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