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La stagione che creò il nazismo

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Non fa mistero della sua intenzione, Johann Chapoutot, nell’epilogo del suo libro
Gli Irresponsabili
, in libreria dal 7 ottobre per Einaudi. Parlando della fine tragica dell’esperienza della Repubblica di Weimar, l’arrivo della cancelleria di Hitler e l’inizio dell’orrore nazista, l’autore non esita a vedere i punti di collegamento con «l’attualità». Per due pagine enumera i punti di contatto tra oggi e quasi cento anni fa e l’elenco fa rabbrividire. Cito: «Una politica di austerità, dogmatica, che aggrava la crisi e la miseria; un potere esecutivo che fa adottare misure volte a distruggere il modello sociale… una sinistra socialdemocratica che sostiene tale politica al fine di evitare, a sua detta, il peggio; un regime politico che, a partire dal 1930, diventa presidenziale e concentra poteri esorbitanti nelle mani fallibili di un uomo non eccessivamente intelligente, ma orgoglioso e testardo… Il rifiuto di prendere in considerazione i risultati elettorali; la condanna degli “estremi” e la precisazione, immediata, che qualcuno è più estremo di qualcun altro, e che quanti difendono la nazione, i valori e la proprietà saranno sempre da preferire alla sinistra… fobie morali in –
ismo
, come “bolscevismo culturale”, che si fatica parecchio a definire, ma che riassume in sé tutte le paure legate all’evoluzione dei costumi (femminismo, omosessualità, stile di vita urbano…) e all’innalzamento generale del livello di istruzione…».

Lo stesso Chapoutot si chiede: «Si potrebbe continuare con questo inventario per molte altre pagine, ed è una cosa che ha sorpreso perfino l’autore di queste righe, il quale, durante tutta la ricerca storiografica e archivistica, non ha mai smesso di strabuzzare gli occhi. Certo, un po’ conosceva l’epoca e, al momento di lanciarsi in questo lavoro, aveva qualche parallelismo in mente. Ma fino a questo punto?».

Sì, fino a questo punto. Fa rabbrividire leggere il racconto dei mesi che seguono la crisi del governo del socialdemocratico Müller, nel marzo del 1930, fino all’epilogo del 30 gennaio del 1933 con l’avvento di Hitler alla guida del Reich.

La Repubblica di Weimar fu una stagione di grandi speranze e di grande energia. Per un quindicennio, a partire dalla redazione di una Costituzione molto avanzata per quel tempo, la Germania conobbe una fase di progresso sociale, culturale e civile. Travolto il vecchio potere imperiale dalla prima guerra mondiale e dai suoi esiti, Berlino scelse una democrazia liberale innervata di una robusta politica sociale che portò alla riduzione dell’orario di lavoro a otto ore, al sussidio di disoccupazione, a potenti programmi di edilizia sociale. Fiorirono le arti, da Fritz Lang a Bertolt Brecht, dalla Bauhaus a Grosz e Dix.

Ma per capirne la fine, così sinistramente vicina alla nostra sensibilità di questi tempi pericolosi, bisogna riandare ai miasmi della crisi politico parlamentare che si dipana nei tentativi di dare un governo, tra crisi ripetute ed elezioni ripetute, alla Germania che inizia gli anni Trenta.

Sembra, nel leggere le pagine di Chapoutot, di assistere all’agonia di una democrazia che, per la sua inconcludenza, apre la strada al potere autoritario. De te fabula narratur. È un suicidio in piena regola, figlio di contraddizioni racchiuse nell’incompletezza di una carta costituzionale bella nei suoi progetti e nelle sue regole, ma fragile ed evasiva sul tema fondamentale dei poteri che garantiscono l’efficienza della macchina decisionale. Fatta, con coraggio, la scelta di un sistema parlamentare, non si definirono nettamente i confini tra i poteri del presidente del Reich, eletto direttamente, e quelli del cancelliere, espressione di una indicazione presidenziale e bisognoso di una maggioranza parlamentare.

Paul von Hindenburg, descritto al vetriolo nelle pagine del saggio, su istigazione di Heinrich Brüning, non per caso forza un articolo della Costituzione, il 48-2, che stabilisce, sulla carta, che il presidente del Reich possa «prendere le misure necessarie» se l’ordine e la sicurezza nazionale sono minacciati. Ma, per far fronte alla instabilità e per assumere più potere personale, Hindenburg estende questa facoltà fino allo scioglimento a piacere del Reichstag. Scrive Chapotout: «C’è una evidente distorsione del testo costituzionale e si può senza dubbio datare l’instaurazione di un regime presidenziale al 26 luglio del 1930». Si arriverà persino, con il governo Von Papen, a immaginare un colpo di Stato dall’alto, una forma di «liberalismo autoritario», ossimoro che, praticato, non poteva che logorare le istituzioni. La democrazia di Weimar, lisa e sfibrata dall’ingovernabilità e dalla conflittualità esasperata di partiti agonizzanti, si prepara alla sua fine, a trasformarsi da utopia in tragedia. Ma il tema del rapporto tra decisione e controllo, tra Parlamento ed esecutivo è ancora, irrisolto, dinanzi a noi.

E non furono allora i governi tecnici a risolvere l’ingovernabilità. Brüning, nell’accettare l’incarico da Hindenburg, che lo odiava perché governava con il via libera dei socialdemocratici, dirà: «Ho chiesto il permesso di costruire una squadra indipendente rispetto ai partiti politici e il conferimento dei poteri in base all’articolo 48». Costituire una maggioranza solida, una volta liquidata quella che aveva scritto la Costituzione e governato la prima fase, risulterà impossibile. La Spd che si era svenata nel sostenere le necessarie misure di risanamento, rese necessarie dalla crisi del 1929, non accetta, nell’ultimo tentativo di governo, quello di Schleicher, la proposta di sostegno che forse avrebbe evitato o ritardato la capitolazione del 1933. Scrive Chapoutot tesi in contrasto con altri storici di Weimar ma fondata: «Nel momento meno opportuno i socialdemocratici, che hanno accettato qualsiasi cosa da parte di Brüning, decidono di rifarsi una verginità a sinistra». E pensare che la stessa Spd era stata decisiva nel sostenere l’elezione di Hindenburg, che li odiava. Quando troppo, quando troppo poco.

Ma la responsabilità più grande pesa sugli «irresponsabili». Non solo sull’estremismo ideologico dei comunisti, ma su quella «camarilla» centrista e di potere che ha condotto all’eutanasia il grande sogno di Weimar usando il linguaggio e le categorie concettuali dei nazisti fino, come farà Von Papen, a scagliarsi contro il «bolscevismo culturale che minaccia di distruggere i fondamenti morali della Germania» e a coltivare un nuovo misticismo contrapposto ai valori di laicità e libertà che, nel tempo della prima Weimar, avevano portato a tante conquiste civili, in primo luogo il voto delle donne.

Gian Enrico Rusconi aveva scritto un saggio fondamentale sulla crisi di Weimar. Era il 1977. La democrazia, in Italia, era attaccata ma forte. Oggi il libro di Chapoutot si legge con più inquietudine, la stessa di chi lo ha scritto.

La storia non si ripete, ma spesso si assomiglia.

3 ottobre 2025 (modifica il 3 ottobre 2025 | 12:58)

3 ottobre 2025 (modifica il 3 ottobre 2025 | 12:58)

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