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La regista Margherita Ferri: «Il mio ragazzo dai pantaloni rosa un’occasione di dialogo»

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Insieme a «Follemente», è il caso cinematografico italiano della stagione 24/25. Ma in comune con il film di Paolo Genovese, «Il ragazzo dai pantaloni rosa» ha giusto una brava attrice (Claudia Pandolfi, anno d’oro per lei). Il primo è una commedia romantica, a firma di un regista navigato. I «Pantaloni rosa», opera seconda della bolognese Margherita Ferri, è un dramma sociale doloroso ed esplicito (al punto da essere raccontato dalla voce fuori campo di un morto, come in «Viale del tramonto») tratto da una storia vera. Quella di Andrea Spezzacatena, il 15enne vittima di bullismo, suicida nel 2012. «Il ragazzo dai pantaloni rosa» sarà proiettato domani (6 agosto 2025) a Costa Volpino-Baia delle Rose, sotto le stelle, per la rassegna itinerante «Giovani donne alla regia» del festival CortoLovere.

Margherita Ferri, «Il ragazzo dai pantaloni rosa» è il terzo incasso italiano della stagione appena trascorsa, con oltre 10 milioni di euro. Meglio hanno fatto solo due titoli, «Follemente» e «Diamanti» di Ferzan Özpetek, forti già sulla carta. Sorpresa dal travolgente, inatteso successo?

«Un riscontro così grande forse non me l’aspettavo. Sono felice che un pubblico non soltanto giovane abbia apprezzato il film e si sia riconosciuto nel messaggio che la storia di Andrea porta con sé. Mi piace pensare possa rappresentare un’occasione di dialogo, sul tema del bullismo omofobico. Per me è importante la qualità del successo, più della quantità».

Che comunque nei numeri è impressionante.

«Nel weekend d’uscita (lo scorso novembre, ndr) “Il ragazzo dai pantaloni rosa” è andato bene al botteghino. Ma le presenze sono migliorate gradualmente. Se un film non piace, la gente non va a vederlo. Anche se fai tanta pubblicità e porti in sala i ragazzi delle scuole».

A proposito. C’è chi sostiene che gli incassi siano stati “drogati” dalle proiezioni dedicate agli studenti.

«Di sicuro, parte del successo viene da lì. Ma non si arriva a 10 milioni di incasso soltanto con gli studenti. A maggior ragione, se si considera che per le proiezioni dedicate alle scuole il prezzo del biglietto è ultra ridotto. Gli insegnanti hanno spesso testimoniato l’utilità del film, nell’aprire uno squarcio nella quotidianità difficile che troppi ragazzi vivono».

«Il ragazzo dai pantaloni rosa» è disponibile in streaming. Quanto conta poterlo vedere, o rivedere, su grande schermo?

«Noi registi immaginiamo i nostri lavori per il grande schermo, è la loro casa naturale. E il successo in sala è ciò che mi gratifica di più. Pensi che il piccolo cinema chiuso da anni di un paesino della Basilicata ha riaperto appositamente per il mio film. Il fatto poi che sia disponibile sulle piattaforme lo trovo giusto. Così più persone riusciranno a vederlo oppure a rivederlo come è successo a molti giovani. Per la nuova generazione “Il ragazzo dai pantaloni rosa” è un po’ un cult».

Condivide la rassegna Giovani donne alla regia – voluta da Gianni Canova, direttore artistico di CortoLovere – con le colleghe Maura Delpero, Giorgia Farina («Ho visto un re», il 9 agosto a Predore), Micaela Ramazzotti e Margherita Vicario. Pensa che la mano femminile, nella realizzazione di un film si riconosca o debba riconoscersi?

«Io sono una regista, non si può dire il contrario. Credo che la bellezza di questo mestiere dipenda pure dal fatto che il punto di vista sia sempre personale. Non si può prescindere dalla specificità di uno sguardo, fatto da differenti esperienze di vita: in quanto uomini o donne o persone della comunità Lgbt+, ad esempio. Oppure italiani di seconda generazione. Quando (quando?, ndr) nel nostro Paese ci saranno più autori di diverse origini».


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5 agosto 2025

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