
La propensione di Donald Trump a scegliere per incarichi di governo personalità televisive – giornalisti, commentatori, producer, provenienti dalla Fox (la rete più seguita dai conservatori) – è ben nota: spesso il suo esecutivo viene ironicamente definito «TV cabinet». A volte criticato anche dai repubblicani, preoccupati per la mancanza d’esperienza dei prescelti. Trump ha sempre tirato dritto: più che alle capacità professionali, è interessato alle doti comunicative e alla lealtà dei prescelti nei suoi confronti. Ha, quindi, esercitato pressioni estreme per convincere i senatori della destra a ratificare le sue nomine e non ha avuto ripensamenti nemmeno quando alcuni dei prescelti, come il ministro della Difesa Pete Hegseth e la direttrice della National intelligence, Tulsi Gabbard, lo hanno messo in difficoltà con sortite estemporanee che hanno scosso il Pentagono e la stessa politica estera Usa nei giorni cruciali della guerra tra Israele e Iran.
Scheletri nell’armadio
Pare che in molti casi la scelta dei candidati e il vetting (le verifiche per accertare che il prescelto non abbia «scheletri nell’armadio») siano stati fatti personalmente dal presidente con un esame limitato alla visione delle clip delle loro performance televisive. Ormai si è perso il conto: c’è chi ha contato 19 personalità televisive nell’amministrazione Trump, chi addirittura 23. Si va dal ministro del Trasporti, Sean Duffy, al vicecapo dell’Fbi, Dan Bongino, allo zar del controllo delle frontiere Tom Homan fino a Kimberly Guilfoyle che, dopo essere stata una star della Fox e la fidanzata (ormai ex) di Donald Jr, il primogenito di Trump, è diventata ambasciatrice in Grecia. Mentre l’oscuro ma durissimo capo del personale della Casa Bianca, Sergio Gor, grande nemico di Elon Musk e artefice del siluramento del capo della Nasa scelto dall’imprenditore di Tesla e SpaceX, era un producer della Fox. Chi pensava di aver ormai visto di tutto in questo campo deve ora ricredersi davanti al voto – uno degli ultimi atti del Senato prima della pausa estiva – di ratifica della nomina di Jeanine Pirro a US Attorney
Elezioni rubate
Classica scelta di Trump, insomma. Salvo che stavolta stiamo parlando di un magistrato col potere di incriminare che si è conquistata la fiducia del presidente dichiarando di condividere la sua volontà di punire i nemici politici, una volta tornato alla Casa Bianca. Non solo: la Pirro ha assunto posizioni in netto contrasto con le decisioni della magistratura, ad esempio sposando in pieno la tesi delle elezioni 2020 vinte da Biden in modo fraudolento, sebbene tutti i tribunali abbiano respinto come infondati i ricorsi dei trumpiani. E quando, insieme ad altri conduttori Fox, ha accusato la Dominion di aver favorito Biden alterando il funzionamento delle sue macchine per il conteggio dei voti, Janine ha detto il falso: lo ha ammesso la stessa Fox quando, trascinata dalla Dominion in tribunale, ha patteggiato pagando centinaia di milioni di dollari di danni.
3 agosto 2025 ( modifica il 3 agosto 2025 | 22:08)
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