
Il cappotto lungo «nuova collezione» 100% poliestere costa 11,5 euro, ordine minimo cento capi, consegna in una settimana in tutta Europa. Questi sono i prezzi di vendita all’ingrosso in uno degli innumerevoli pronto moda a gestione cinese del Macrolotto a Prato.
Tutti uguali, centinaia e centinaia di capi, assortiti nei diversi colori che fanno tendenza nell’autunno 2025.
La spiegazione di come sia possibile vendere un cappotto a 11,5 euro è in anni di verbali delle forze dell’ordine, faldoni di inchieste e sentenze, slogan ai picchetti e comunicati sindacali. È un sistema che produce da decenni fiumi di soldi: un ingranaggio rodato, capace di rinascere da se stesso dopo ogni colpo, nel capannone a fianco, magari anche nello stesso. E che oggi, però, è costretto a difendersi. Non da azioni istituzionali intese a riportare la legalità in questo pezzo d’Italia che lavora giorno e notte 365 giorni l’anno a condizioni indegne di un Paese civile.
La minaccia al fast fashion cinese arriva dalla Cina e si chiama Shein.
Migliaia di pacchetti e scatoline che stanno invadendo l’Europa, portando direttamente a casa del consumatore la stessa merce a prezzi stracciati e con la comodità degli acquisti online.
Vado al mercato.
Qui il cappotto lungo «nuova collezione» 100% poliestere costa 69 euro: l’etichetta dice che è realizzato in un pronto moda pratese, «Made in Italy». Di questi tempi 69 euro possono essere una cifra impegnativa per un onesto lavoratore.
Torno a casa, accendo il Pc e vado su Shein: lo stesso cappotto costa 23,18 euro. Stesso tessuto, stesso modello. È disponibile in 11 colori.
Per il primo acquisto Shein mi fa uno sconto di 1,20 euro, il cappotto mi costa 21,98 euro, cioè un terzo rispetto a quanto lo pagherei al mercato. È piuttosto ovvio che Shein (così come l’analoga Temu) stia sperimentando un successo strepitoso tra i consumatori italiani che hanno stipendi fermi da 30 anni, paghe spesso misere e l’inflazione reale al 20%.
Chi non può permettersi il lusso (benché pure i brand di alta gamma non siano immuni da episodi di violazione delle norme), sceglie semplicemente di risparmiare. Anche perché le «condizioni cinesi» di produzione — pessime materie prime, disprezzo dei diritti dei lavoratori e disinteresse per la protezione dell’ambiente — al Macrolotto sono le stesse.
La merce è la stessa. Quel che cambia è che a Prato si gode del diritto di scrivere «Made in Italy» sull’etichetta: la massaia che deve sbarcare il lunario di quell’etichetta può serenamente farne a meno.
Shein ha il vento in poppa, gli affari vanno così bene che ha aperto il suo primo negozio fisico permanente al mondo, a Parigi, al sesto piano del BHV Marais, storico tempio dello shopping parigino. Allarme rosso.
Così l’Unione europea sta valutando l’introduzione di una tassa di 2 euro su ogni pacco di piccole dimensioni proveniente dalla Cina, principalmente da piattaforme come Temu e Shein. L’obiettivo dichiarato è contrastare la concorrenza sleale, rafforzare i controlli di sicurezza e generare entrate. Le piattaforme sarebbero responsabili del pagamento della tassa, e sarebbe prevista una tariffa ridotta di 50 centesimi per gli articoli provenienti da magazzini europei.
Mentre le autorità comunitarie ci provano, ma è come svuotare l’oceano con un cucchiaio, al Macrolotto pratese si stanno organizzando per respingere l’avanzata dei pacchetti in arrivo dalla madrepatria.
E lo fanno usando i social network.
A mostrare il meccanismo è il ragazzo del mercato che vende il cappotto a 69 euro.
Prende il telefono: su Instagram e soprattutto su Tiktok è pieno di giovani e graziose fanciulle italiane che pubblicano video direttamente dall’interno dei magazzini del Macrolotto. Su Tiktok ne guardiamo uno dove viene proposto il nostro cappotto (stesso modello, stesso tessuto): prezzo 26 euro, se ne prendi due hai il 25% di sconto, spedizione gratuita.
Così ciascun capo viene 19,5 euro. Un po’meno che su Shein, Made in Italy.
L’ambulante spiega che questi sono i magazzini dove lui compra la merce da rivendere al mercato: a lui un cappotto come questo costa 28 euro più Iva.
«Come faccio a venderlo a meno di 69 euro? Ci rimetto. Ma vedendolo qui a 69 euro, la gente pensa che io sia matto. Il punto è che non potrebbero farlo: i pronto moda dovrebbero vendere all’ingrosso, non al dettaglio. Le vendite all’ingrosso sui social le fanno ormai da tanto tempo. Ma questa è concorrenza sleale». Sembra sinceramente sorpreso da questa palese violazione delle regole.
Non è dato sapere chi vincerà questa guerra all’ultimo centesimo fra il fast fashion cinese di Prato e quello cinese dalla Cina. Gli sconfitti invece sono certi: i piccoli commercianti al dettaglio, quelli rimasti, gli operai e i loro diritti.
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6 novembre 2025 ( modifica il 6 novembre 2025 | 07:31)
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