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La mini tregua «è l’inizio dei negoziati» Ma Putin insiste sulle regioni occupate

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DAL NOSTRO INVIATO
MOSCA  Nello scrigno del patriottismo russo si è liberato un posto anche per l’America. Al Parco della Vittoria, sterminato museo dedicato alla Grande Guerra Patriottica, il giorno prima della terza visita di Steve Witkoff a Mosca è stata inaugurata una piccola esposizione, intitolata «Incontro sull’Elba». Due teche, qualche foto e qualche reperto d’epoca, posizionate in un angolo dell’atrio, che illustrando lo storico incontro sul fiume tedesco dei soldati sovietici con quelli americani, avvenuto il 25 aprile 1945, sembra avere lo scopo di attribuire un ruolo anche a questi ultimi nella vittoria sul nazifascismo.

Alla vigilia della festa dell’ottantesimo anniversario, questo inedito omaggio da parte di una nazione molto gelosa del proprio passato indica un evidente tentativo di ricreare la narrazione di una amicizia con gli Usa, che negli ultimi vent’anni erano stati dipinti come i grandi nemici di madre Russia. «Una volta giunti insieme nella piazza del paese di Torgau, ci siamo abbracciati in un modo così fraterno che abbiamo fatto a meno degli interpreti», scrive il tenente Mikhail Cizhikov in una lettera.

Chissà se questa politica dell’adulazione basterà a tenere buono Donald Trump, che non ha mai mostrato grande interesse per la storia contemporanea. All’improvviso Vladimir Putin si trova in equilibrio tra la necessità di non gettare al vento l’apertura di credito giunta dal nuovo corso della Casa Bianca, e la predicazione del nuovo mondo multipolare, che va in direzione contraria agli interessi Usa. Ieri, dati cause e contesto, era il turno della seconda opzione. All’annuale Forum internazionale dello Stato dell’Unione russo-bielorussa, che si è svolto a Volgograd, l’ex Stalingrado, il presidente russo ha ribadito la necessità a suo avviso urgente «di formare insieme un assetto mondiale multipolare più equo, basato sulla nuova architettura di una sicurezza paritaria ed indivisibile, che protegga in modo sicuro tutti gli Stati senza danneggiare gli interessi di nessuno». E questo bisogno «si pone con particolare attualità per l’Eurasia» è stata la conclusione.

È un discorso che quasi segna un ritorno ai temi utilizzati in maniera massiccia negli ultimi anni e finiti in soffitta dopo l’avvio dell’intesa cordiale con il nuovo amico americano, che negli ultimi giorni sembra battere in testa. Il rinnovato attivismo di Sergey Lavrov può essere preso come esempio della necessità di coprirsi le spalle su due fronti opposti. Lunedì, il ministro degli Esteri aveva posto una lista delle condizioni russe per un cessate il fuoco di lunga durata che sembrava un dito nell’occhio per Usa e Ucraina. Ieri invece, in versione colomba, l’esperto diplomatico ha cambiato spartito, definendo la proposta di Putin per un cessate il fuoco di tre giorni dall’8 al 10 maggio come «un avvio di negoziati diretti» con Kiev «senza precondizioni», mentre ha rimandato al mittente la controproposta ucraina di una tregua di almeno 30 giorni bollandola come «una precondizione».

A forza di tirarla lunga e di chiedere «approfondimenti», anche a Mosca si sta diffondendo la sensazione che ormai Putin non possa sottrarsi a un accordo con gli Usa che preveda qualche concessione. Secondo l’agenzia Bloomberg, il Cremlino invece continuerebbe a insistere sul fatto che la Russia dovrà assumere il controllo integrale delle quattro regioni dell’Ucraina parzialmente occupate. Ma neppure questo sembra placare l’ansia della galassia ultranazionalista, che vorrebbe andare ben oltre. Nikolaj Patrushev era il «fratello maggiore» del presidente, il falco della verticale del potere che con parole e opere ha trascorso una vita intera a fare apparire il suo Capo come un moderato. Oggi semplice assistente e capo del Collegio marittimo, rilascia interviste non proprio concilianti. «Gli abitanti delle regioni ucraine anche quelle adiacenti al Mar Nero» ha detto in quella di ieri «devono determinare da soli il proprio futuro. E non vogliono sottomettersi passivamente all’illegittimo potere di Kiev. Ritengo che Odessa e la stragrande maggioranza dei suoi abitanti non abbiano nulla in comune con quel regime neonazista». Intanto, Kirill Dimitriev e Yuri Ushakov, i due principali negoziatori con gli Usa, continuano a evocare «lo spirito dell’Elba» nelle loro dichiarazioni pubbliche. Ma Trump vuole un accordo e lo vuole in fretta. Comunque, la mostra sull’incontro tra soldati sovietici e americani verrà chiusa il 18 maggio, molto dopo la grande festa nazionale russa e l’afflusso di milioni di visitatori al Parco della Vittoria.

29 aprile 2025

29 aprile 2025

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