
La montagna bolognese perde pezzi di industria e posti di lavoro qualificati. In dieci anni l’Appennino ha visto svanire oltre seicento occupazioni manifatturiere, sostituite da impieghi precari e mal retribuiti. È quanto emerge da uno studio di Ires Emilia-Romagna per la Cgil di Bologna.
«Si sono persi posti di lavoro di qualità, con buoni salari e diritti — avverte il segretario della Cgil, Michele Bulgarelli —. È un’emergenza che richiede un intervento immediato: serve una nuova reindustrializzazione 5.0 collegata agli investimenti del Tecnopolo».
La manifattura rimane il principale settore occupazionale, con il 31,4% della forza lavoro appenninica (oltre quattromila addetti), ma dal 2019 ha perso il 13,6%. Un calo che va avanti da anni, a cui hanno contribuito anche le vertenze di Caffitaly e Saga Coffee, insieme alla delocalizzazione di parte della produzione Cnh in India.
La crisi del lavoro in Appennino
La manifattura in Appennino si trova «in una delle peggiori condizioni dal dopoguerra — afferma Primo Sacchetti, sindacalista Fiom-Cgil — oggi siamo presenti in circa 79 aziende metalmeccaniche con impiegati 2.198 lavoratori. Di questi, 904 sono in cassa integrazione, il 41% dei metalmeccanici in Appennino. E la situazione è in netto peggioramento. È da 12 anni che la Demm chiede la cassa integrazione, su 119 lavorano in 30. È in crisi anche Metalcastello.
Il progetto della Gaggio Tech si è rivelato fallimentare: dal primo ottobre è scattata la cassa integrazione per cessazione. Abbiamo un anno per trovare nuovo progetto industriale e salvare 100 lavoratori. Oggi la situazione è drammatica in Appennino. Non possiamo continuare a fare testimonianza e convegni».
Il problema legato alla qualità: retribuzioni medie più basse
Il problema è anche qualitativo: nel settore privato la retribuzione media annua è di circa 27.600 euro, ma nella manifattura sale a 37.000 euro, contro i 12.901 del turismo e della ristorazione, dove oltre la metà dei lavoratori è part-time e il 52% lavora in modo discontinuo.
«Non esiste una sostituzione sostenibile nei settori del turismo e appalti, dove i salari non permettono una vita dignitosa — ammonisce Bulgarelli — Riportare lavoro industriale in Appennino è l’unico modo per garantire occupazione di qualità e ben pagata. Puntare solo sul turismo significa condannare il territorio a un’economia povera e frammentata».
Dal 2019 è invece cresciuto il turismo, ma non ha compensato la perdita né in quantità né in qualità dell’occupazione.
Popolazione in crescita: «Ma soprattutto popolazione straniera»
«Stiamo assistendo a un impoverimento strutturale del territorio, accompagnato da un rischio concreto di ghettizzazione dovuto alla mancanza di servizi», ha spiegato il ricercatore Gianluca De Angelis. Anche la popolazione è cresciuta dell’1,6%, ma quasi esclusivamente grazie alla componente straniera, aumentata del 25%.
«È un segnale che mostra come l’Appennino rischi di diventare un’area di residenza obbligata per chi non trova alternative altrove», avverte la Cgil. Anche i dati fiscali mostrano un territorio fragile: il reddito medio da lavoro dipendente è di 23.191 euro, contro i 26.667 della media metropolitana, e il 29,6% delle dichiarazioni non supera i 15.000 euro.
«Una concentrazione di redditi bassi»
L’Appennino si caratterizza per una concentrazione di redditi bassi superiore a quella del resto dell’area metropolitana (26,6%) e per un’economia fondata quasi interamente su lavoro e pensioni, che rappresentano il 91,4% dell’imponibile complessivo.
Per invertire la rotta, la Cgil chiede una «reindustrializzazione 5.0» capace di coniugare innovazione, sostenibilità e buona occupazione. Bulgarelli invita la Regione a utilizzare la Legge regionale 14 sull’attrazione degli investimenti per premiare con finanziamenti e sostegni economici le aziende che garantiscono occupazione stabile e di qualità in Appennino.
«Le lotte dei lavoratori in montagna, da Caffitaly a Saga Coffee, hanno preso tempo — spiega —, ma non possiamo sprecarlo. Senza un intervento strutturale sull’industria, l’Appennino rischia una desertificazione economica e sociale irreversibile».
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5 novembre 2025
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