
Il coro leghista contro il generale Roberto Vannacci è in realtà un appello accorato al vicepremier e leader Matteo Salvini perché cambi radicalmente strategia. E sullo sfondo si indovina il timore non solo di un calo progressivo dei voti a vantaggio di Fratelli d’Italia o dei berlusconiani. La sfida che il leghismo storico comincia a intravedere è per la sopravvivenza come partito espressione degli interessi del Nord. La disfatta in Toscana sta avendo effetti che vanno al di là del fallimento del «modello» di Vannacci, assecondato da Salvini.
L’estremismo antieuropeo e filorusso, abbinato all’emarginazione dei gruppi dirigenti tradizionali, evoca una sorta di «scalata ostile» che destabilizza la Lega; e in prospettiva può cambiarne i contorni e l’identità, senza peraltro darle più voti. Il grande successo di Vannacci alle Europee del 2024 per ora si è rivelato una parentesi. E la mancata ricandidatura di Luca Zaia in Veneto diventa il riflesso di un malessere più profondo. Il dubbio che si insinua nel Carroccio è che il leghismo sia in declino; e che il travaso di voti verso Giorgia Meloni, e la crescita dei berlusconiani siano un fenomeno non passeggero.
In attesa di capire che cosa farà Zaia, crescono i malumori dell’intera nomenklatura, e non solo in Veneto e Lombardia. In più, mercoledì è arrivata una dichiarazione spiazzante del segretario regionale di FdI, Luca De Carlo, che ha negato un veto di Palazzo Chigi sulla candidatura del governatore uscente alle Regionali del 23 e 24 novembre. «FdI ha sempre dichiarato che se avesse un fuoriclasse del calibro di Luca Zaia», ha detto De Carlo, « lo avrebbe candidato capolista in tutte le province». Sono parole che scaricano il problema sul Carroccio. E rendono ancora più intricata la questione, facendo capire che se fosse stato dei loro, FdI non ci avrebbe rinunciato. Questo finisce per incrociare le tensioni crescenti dopo la sconfitta in Toscana. Anche perché il perdente Vannacci non sembra intenzionato a cambiare il suo approccio sprezzante verso la dirigenza della Lega. «Gli ho parlato ed è bello combattivo. Stavolta è andata male? Si imparano tante cose, fare il politico è diverso da fare il generale», ha riferito il senatore Claudio Borghi.
È su questo sfondo che arriva la solidarietà a Zaia del presidente della Lombardia, Attilio Fontana e dei capigruppo in Parlamento. E ritornano gli avvertimenti di chi si sente boicottato. «Trovo strano», ribadisce Zaia,«che un governatore uscente che ha oltre il 70% tra i veneti si ritrovi prima ad avere negata la candidatura, poi la lista civica, e infine la possibilità di mettere il nome sul simbolo. Se sono un problema vedrò di crearlo». Di nuovo, aleggia la minaccia di un altro partito del Nord, spinto dal malessere e dalla disperazione del leghismo storico.
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15 ottobre 2025
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