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La figlia di Gisèle Pelicot: «Io stuprata da papà e mia madre lo proteggeva, non ci parliamo più»

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«È stato il processo di mia madre Gisèle, non della nostra famiglia. Lei sa che mio padre Dominique è un predatore seriale, è coinvolto in casi criminali che cominciano ben prima, e sa che potrebbe avere violentato anche me e altri membri della famiglia, ma su questo lei non ha voluto e non vuole parlare. Gisèle mi ha abbandonato, io e lei non ci parliamo più».

Il 19 dicembre scorso si è chiuso il processo di Avignone per gli stupri commessi da Dominique Pelicot e da 50 suoi complici, tutti condannati. La moglie Gisèle Pelicot, drogata e violentata per anni dal marito e da sconosciuti, coraggiosa testimone in aula, è diventata un’eroina mondiale. Nel primo libro E ho smesso di chiamarti papà sua figlia Caroline regolava i conti con il padre Dominique. In questo Non è nostra la vergogna, che esce il 30 settembre per Utet, la donna consuma la rottura anche con la ormai celebre madre, Gisèle Pelicot

Come sta, signora Darian? 
«Vado avanti, grazie. Ho una vita professionale, sono responsabile della comunicazione di un grande gruppo; ho una vita di famiglia, con un figlio di 11 anni, e una vita associativa con l’associazione #MendorsPas (non mi addormentare) che ho fondato». 

Qual è il suo sguardo, oggi, su un processo seguito dal Pianeta intero? 
«Quel processo, condotto in modo sbrigativo e parziale, è l’albero che nasconde la foresta. Dominique Pelicot ha concluso la sua carriera criminale drogando sua moglie per 10 anni , ma non ha cominciato con Gisèle. È coinvolto in crimini cominciati negli anni 80-90, è forse un serial killer oltre che un predatore. Ma ci si è occupati solo di Gisèle». 

In aula, interrogata sulle violenze che lei, Caroline, ha subito a sua volta, sua madre Gisèle dice «preferisco non rispondere». 
«Quello è il momento di non ritorno». 

Come sono i suoi rapporti con sua madre adesso? 
«Non esistono. Non ho più alcuna relazione con mia madre. Lei vive la sua nuova vita, e io continuo la mia». 

Da quello che lei racconta e scrive nel libro, sembra che in Gisèle convivano due figure: la donna coraggiosa e moderna che denuncia al mondo le violenze subite, e la donna di altri tempi, che almeno inconsciamente o involontariamente tende a proteggere il marito. 
«Non so quanto involontariamente. Gisèle ha diretto la sua rabbia soprattutto contro i 50 sconosciuti complici, non contro suo marito Dominique. Credo che cerchi ancora di trovargli delle circostanze attenuanti. Da quattro anni e mezzo aspettavo a mia volta di avere la verità, ci sono le foto di Dominique in cui io appaio priva di sensi, seminuda, con una biancheria intima che non è la mia. Solo Gisèle avrebbe potuto convincerlo a parlare, ma si è rifiutata. “È il mio processo, non quello della famiglia”, ha ripetuto».

Come vive con i ricordi di famiglia? 
«È l’aspetto forse più crudele. Fino al giorno in cui ho scoperto che cosa aveva fatto mio padre, credevo che la nostra famiglia fosse piena di amore, ero persino più vicina a mio padre che a mia madre, sono cresciuta con genitori che mi volevano bene. Adesso non posso più guardare le foto di quando ero bambina, adolescente, le foto del mio matrimonio. Tutto falso».

Qual è la situazione processuale, adesso? 
«Ho presentato la mia denuncia, spero in un nuovo processo che chiarisca quello che è successo a me. Dominique ha 72 anni, è stato condannato a 20 ma tra riduzioni varie tra 6-7 anni potrebbe uscire. E ricominciare».

27 settembre 2025

27 settembre 2025

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