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Khamenei torna in video: «Duro schiaffo all’America. Abbiamo trionfato, non ci arrenderemo mai»

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È riapparso. Dopo otto giorni di silenzio, Ali Khamenei ha mandato un video messaggio alla tv di Stato per placare le speculazioni sulla sua sorte e per rivendicare la «grande vittoria contro il nemico sionista». La scenografia è la stessa dell’ultima volta – tende marroncine, a destra la bandiera della Repubblica islamica, a sinistra il ritratto di Ruhollah Khomeini a vegliare su di lui -: l’ayatollah si troverebbe ancora nel bunker che lo ha protetto dai bombardamenti del «nemico Israele». 

Con il suo turbante nero da Sayyid – colui che discende da Maometto – si congratula «con la nazione iraniana» e dice, calmo: «Le seconde congratulazioni sono per la vittoria del nostro caro Iran sul regime americano. Il regime statunitense è entrato direttamente in guerra perché riteneva che, se non lo avesse fatto, il regime sionista sarebbe stato completamente distrutto. Anche in questo caso, la Repubblica Islamica è uscita vittoriosa e, in cambio, ha sferrato un duro schiaffo in faccia agli Usa». Secondo l’ayatollah l’America «non è riuscita a ottenere alcun risultato significativo» attaccando gli impianti nucleari iraniani, e il presidente Donald Trump «ha fornito un resoconto “esagerato” di quanto accaduto».  Avverte che se ci sarà una nuova aggressione, gli Usa pagheranno un «caro prezzo». 

L’ayatollah continua spiegando che gli Stati Uniti «non sono realmente interessati al nucleare» iraniano o all’arricchimento dell’uranio, usato questa volta come un pretesto. Quello che vogliono, «è che l’Iran si arrenda».  Dice: «Un giorno si parla di diritti umani, un altro giorno di diritti delle donne, poi della questione nucleare, poi dei missili: in realtà il nocciolo della questione è sempre stato lo stesso: vogliono che l’Iran si arrenda, l’Iran non si arrenderà mai. Per un grande paese e una grande nazione come l’Iran, il solo accenno alla resa è un insulto».

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Non si faceva vedere da più di una settimana. L’ultima volta, Ali Khamenei era apparso in un video trasmesso sempre dalla tv di Stato per dire che «il nemico sionista ha commesso un grande errore, se gli Stati Uniti attaccheranno subiranno conseguenze irreparabili». Minacciava dal bunker segreto i nemici di sempre che, intanto, gli bombardavano il Paese. Nei giorni intensi della guerra, ha postato solo qualche messaggio e qualche emoticon sul profilo di X gestito dai social media manager – sì, l’ayatollah che vieta i social al suo popolo ha un team di social media manager – e niente più. Nessun’apparizione dopo i bombardamenti di Donald Trump sui siti nucleari di Fordow, Natanz e Isfahan, e nemmeno dopo l’annuncio del cessate il fuoco. Non un video per festeggiare quello che il regime sta dipingendo come una vittoria iraniana. Niente.

Rispetto agli standard comunicativi degli ayatollah questo silenzio è sembrato strano. Sono iniziate a girare voci e teorie sul destino del leader religioso, aumentate anche da un articolo del New York Times dove vengono riportate le voci e i dubbi degli uomini del regime.  «Dobbiamo pregare tutti», h detto sempre in tv Mehdi Fazaeli, capo dell’archivio del leader. «Chi deve proteggere la Guida Suprema sta facendo il suo dovere», ha aggiunto. «E, se Dio vuole, presto il popolo potrà festeggiare la vittoria insieme al suo leader. Se Dio vuole». Quel «se Dio vuole» ha fatto tremare le gambe ai suoi – pochi – sostenitori. E strappato un sorriso ai suoi – tanti – oppositori che vedono nell’eliminazione della Guida suprema, la possibilità della fine della dittatura islamista.

In questi giorni, qualcuno di loro ci ha scritto da Teheran: «Si dice che sia morto in un bombardamento». Un’affermazione che avrebbe cambiato la Storia di questa «Guerra dei 12 giorni» e, soprattutto, la Storia del Paese. Le ultime notizie lo danno rifugiato in un bunker, con l’ordine di tagliare le comunicazione elettroniche con il mondo fuori: il rischio di essere trovato dal Mossad è ancora troppo alto. Una fonte interna al regime, ha raccontato al Corriere che l’intelligence americana avrebbe mandato a Khamenei un messaggio con le coordinate del suo nascondiglio per costringerlo a firmare il cessate il fuoco. Un’altra persona racconta sempre al Corriere che, tra le speculazioni giri anche che in questi primi giorni di tregua, si stia cercando di trasferire l’ayatollah in un altro bunker (come faceva Saddam Hussein: cambiava sempre nascondiglio per scampare al nemico). 

Il video messaggio di oggi placa le voci su di lui, ma conferma l’insicurezza e l’instabilità che sta vivendo la Repubblica islamica, che, nonostante le affermazioni trionfanti, in questa guerra ha perso i vertici della sua catena di comando, ha visto danneggiare i suoi siti nucleari più importanti e dimezzare i missili a disposizione. 

26 giugno 2025 ( modifica il 26 giugno 2025 | 13:39)

26 giugno 2025 ( modifica il 26 giugno 2025 | 13:39)

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