Home / Esteri / Karabiniere, Yankee e Shorty, i volontari sul fronte in Ucraina: «I russi hanno più uomini e mezzi. Ma rimarremo anche dopo la guerra, ci sarà bisogno di noi»

Karabiniere, Yankee e Shorty, i volontari sul fronte in Ucraina: «I russi hanno più uomini e mezzi. Ma rimarremo anche dopo la guerra, ci sarà bisogno di noi»

//?#

«Sono venuto in Ucraina per aiutare e difendere i civili. Non è stata una decisione facile. Ho avuto bisogno di tempo per prepararmi mentalmente e comprendere davvero quello che volevo. Sapevo di lasciare un paese sicuro per trasferirmi in una nazione in guerra, ma alla fine sono partito».

Karabiniere è un volontario italiano di circa 30 anni, la sua voce è smorzata dal passamontagna che tiene calato sul volto, per proteggere la sua identità. 

«In Ucraina la situazione per i civili è peggiore di quanto immaginassi. Sono stato per circa quattro mesi a Kherson, dove le persone sono costantemente prese di mira dai droni e dai missili russi, senza alcuna possibilità di ripararsi e mettersi al sicuro. Questo è davvero l’aspetto peggiore della guerra qui». 

In Italia, Karabiniere ha lavorato alcuni anni come addetto alla vigilanza, quindi è entrato a far parte dell’Associazione Nazionale Carabinieri e dell’Associazione Nazionale della Polizia, sezione di Torino, dove è stato coordinatore dell’ufficio passaporti e ha prestato servizio nell’unità cinofila di ricerca e soccorso. Nel novembre 2024, Karabiniere ha lasciato il suo lavoro ed è partito per l’Ucraina, dove si è arruolato nella Legione Internazionale, un’unità militare creata nel 2022 su richiesta del presidente ucraino Zelensky e composta da volontari stranieri di diverse nazionalità che hanno deciso di sostenere la causa ucraina e combattere contro i russi.

Dopo una sola settimana di addestramento, Karabiniere ha lasciato la Legione per aggregarsi ad un’unità di ricognizione speciale dei Marines ucraini. «Purtroppo, a mio parere, la Legione Internazionale viene dipinta come la “punta di diamante” dell’esercito ucraino, ma non è così. A preoccuparmi erano soprattutto la non professionalità e la scarsa preparazione dei miei colleghi. Io, insieme ad altri miei compagni abbiamo richiesto subito il trasferimento. Nei Marines abbiamo ricevuto un addestramento base più professionale, integrato da corsi specifici che dovevamo frequentare a settimane alterne. Resto però dell’idea che per venire a combattere in Ucraina sia necessario avere una solida base di esperienza militare». 

Karabiniere si sofferma inoltre sui problemi riguardanti l’equipaggiamento fornito ai soldati. «La maggior parte del materiale, compresi indumenti e giubbotti antiproiettili, era inadeguato, anche per compiere semplici pattugliamenti nei villaggi in prossimità del fronte. Nei Marines ci hanno dotato di fucili M4, ma i caricatori erano di scarsa qualità o addirittura stampati in 3D. L’arma, di conseguenza, si inceppava continuamente. Tutto questo materiale era “made in Ukraine” e mi sono sempre chiesto che fine avesse fatto l’equipaggiamento donato all’Ucraina dai paesi che la supportano». Karabiniere spiega che numerose associazioni internazionali e ucraine si impegnano ad aiutare le unità e i soldati schierati al fronte donando beni e materiali di ogni tipo. 

«Nonostante si trovino in una difficile situazione economica, anche molti civili sono felici di dare il loro contributo. Fanno tutto il possibile per aiutarci, riceviamo cibo, kit medici, materiale militare aggiuntivo, compresi teli mimetici ed indumenti». Un grande problema, secondo Karabiniere, è la mancanza di assistenza e supporto psicologico di base per i soldati impegnati al fronte. «Gli ufficiali mettono davvero molta pressione e non sembrano saper gestire la situazione mentale in cui i soldati si trovano. Nel caso della mia unità, ci veniva impedito di uscire dalla nostra casa sicura. Quando rientri da una missione e ti ritrovi bloccato in casa, si genera una situazione di stress e tensione difficile da gestire. Sono problemi che andrebbero sicuramente discussi a livello più alto. Io sono un soldato, mi limito a fare il mio dovere».

Se Karabiniere ha lasciato subito la Legione Internazionale, Yankee, un ragazzo italiano di circa 30 anni, ne fa parte da circa due anni. Viene dal centro Italia e, per rimanere anonimo, nasconde il suo viso dietro un passamontagna e un paio di occhiali scuri. 

«Fin dal 2014, quando sono iniziati i primi scontri e la Russia si è impossessata della Crimea, ho sentito qualcosa dentro di me. Mi dicevo che non era giusto che un paese sovrano come l’Ucraina fosse minacciato da un paese molto più grande e potente come la Russia. All’inizio ho lasciato perdere, ero giovane, in Italia stavo bene, avevo la mia famiglia, i miei amici e un lavoro stabile. Quando la Russia ha invaso l’Ucraina nel 2022, quella voce dentro di me si è fatta sempre più insistente. Dovevo fare qualcosa. Così ho deciso di partire». 

Vista la propria esperienza in campo medico, maturata dopo anni di volontariato in Italia, Yankee ha deciso di unirsi alle forze armate ucraine inizialmente nel ruolo di combat-medic. «Dopo l’arruolamento ho passato circa un mese e mezzo in una base militare nella regione di Leopoli. Lì, abbiamo seguito un addestramento base, incentrato su preparazione fisica, uso delle armi, tattiche militari e medicina tattica di base. Una volta terminato, ci hanno inviato a Kramatorsk, nella regione del Donbass, dove siamo rimasti un paio di mesi». 

In seguito, Yankee è stato inquadrato nel 3° battaglione della Legione Internazionale ed è entrato a far parte di un team di dronisti, il cui ruolo principale è quello di supportare le unità di terra, effettuare ricognizioni e attaccare le truppe nemiche in movimento. 

Qui ha incontrato Shorty, un ex militare svizzero di 42 anni che ha lasciato l’esercito del suo paese per unirsi a quello ucraino. Nonostante la legislazione svizzera vieti ai cittadini di arruolarsi in un esercito straniero, pena la reclusione fino a tre anni, Shorty ha deciso di partire ugualmente, viaggiando in macchina fino a Leopoli dove si è arruolato. 

Yankee e Shorty combattono insieme da più di un anno e la loro unità è stata schierata sul fronte di Kupjansk. Si sono specializzati nell’utilizzo di droni da ricognizione ed FPV (First Person View), pilotati da remoto grazie all’utilizzo di visori o occhiali montati sulla testa dell’operatore. 

«I droni sono il Grande Fratello che sta nel cielo. Una squadra di tre persone può controllare due chilometri quadrati di territorio stando nascosta nelle proprie posizioni. Riferiamo alle truppe di terra tutti movimenti del nemico, li guidiamo dall’alto nelle loro missioni, siamo costantemente in contatto con la fanteria e l’artiglieria. Se veniamo autorizzati possiamo anche attaccare il nemico direttamente. Lavoriamo anche con altre squadre di dronisti con cui ci alterniamo continuamente per tenere il fronte sempre monitorato» spiega Yankee. 

Shorty sottolinea che un team di dronisti è composto da circa 4-5 membri, ognuno con compiti specifici. «Tutti i membri sanno pilotare i droni in dotazione e quando siamo in missione, è quello il nostro compito principale. C’è però anche una parte del nostro lavoro meno appariscente, ma fondamentale. Dobbiamo preparare le cariche esplosive che poi verranno montate sui droni, procurarci i pezzi di ricambio, installare i software necessari per il corretto funzionamento dei velivoli, procedere alla manutenzione degli stessi».

Yankee e Shorty definiscono il loro lavoro come una caccia continua per avvistare il nemico prima di essere individuati a loro volta. «Le continue evoluzioni tecnologiche non aiutano. Bisogna sapersi adattare in fretta. Contro i droni attualmente non c’è difesa. Esistono antenne capaci di abbattere la ricezione di segnale di alcuni velivoli e farli precipitare, ma non funzionano su tutti i modelli. L’unico modo per difendersi è rimanere nascosti, muoversi in squadre da due o tre elementi, sotto la copertura degli alberi e mantenere una distanza di almeno cinque metri dal proprio compagno, così da non offrire facili bersagli. Purtroppo i russi hanno a disposizione un numero maggiore di uomini e mezzi e spesso ci troviamo a combattere in condizioni di inferiorità».

I volontari stranieri che decidono di arruolarsi nelle forze armate ucraine vengono formati in basi militari situate nell’oblast di Leopoli, nell’estremo Ovest del paese. Al termine dell’addestramento, ogni soldato, sulla base delle sue preferenze e dei suoi risultati, può presentare una domanda per unirsi a una specifica unità della Legione o dell’esercito Ucraino, dove si sottoporrà ad un ulteriore addestramento specializzato.  Il contratto che i legionari firmano all’arruolamento ha una durata fissa di tre anni al termine dei quali può essere rinnovato automaticamente. I soldati stranieri possono comunque decidere di terminare il proprio contratto dopo 6 mesi dalla firma, in qualsiasi momento, ma non se impegnati in una missione o sulla linea di fronte.

Dopo più di tre anni dall’inizio del conflitto, i criteri di selezione dei volontari stranieri si sono fatti più elastici. Le forze armate ucraine hanno sempre bisogno di soldati per difendere la linea del fronte. 

Karabiniere vuole rimanere in Ucraina il più possibile non solo per combattere, ma soprattutto per aiutare la popolazione: «Ci sono moltissime persone che hanno perso tutto, non hanno cibo, né assistenza sanitaria. Ho comprato un piccolo bus con i miei risparmi e con questo veicolo vorrei aiutare un’unità che si occupa dell’evacuazione dei civili vicino a Pokrovsk». 

Yankee e Shorty hanno smesso di fare programmi a lungo termine e nonostante a volte sentano la mancanza dei propri cari rimasti in Italia o in Svizzera, restano convinti della loro scelta. «Alla fine del conflitto ci sarà comunque bisogno di noi, per ricostruire il paese, addestrare le reclute del nuovo esercito e garantire la sicurezza della popolazione. La guerra non finisce quando terminano gli scontri. La guerra finisce quando i bambini e i civili saranno liberi di tornare alle loro case e camminare per strada in totale sicurezza».

1 luglio 2025

1 luglio 2025

Fonte Originale