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Kae Tempest: «I corpi come il mio vengono politicizzati, ma per me non è politica, è vita»

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Dagli uffici modernissimi della sua casa discografica a Londra, in zona King’s Cross, Kae Tempest ripensa a com’è cambiata la sua città: «Questo una volta era un quartiere tosto, in cui si respirava molto dolore. Ora ci sono edifici nuovi, con la gente che pranza all’aperto. Eppure solo perché adesso ci sono persone felici che lo vivono, non significa che non vi siano state quelle che vi hanno sofferto». Il passato e il presente si fondono spesso, nelle parole di Tempest. Poeta e rapper dalla potenza disarmante, Leone d’argento per il teatro a Venezia nel 2021, l’artista londinese venerdì pubblica il nuovo disco «Self Titled» (sarà in Italia per tre date a ottobre, il 25 a Roma, il 26 a Bologna e il 27 a Milano): un lavoro estremamente personale, ma al tempo stesso universale, dove l’esplorazione dell’identità (Tempest è una persona transgender e non binaria, per cui, in mancanza di pronomi neutri, i più vicini sono quelli al maschile) o della neurodivergenza va di pari passo con una dichiarazione di empatia verso tutti gli esseri umani.
Nei testi ricorrono i dialoghi con il sé più giovane, bambino. Da dove nasce questa riconnessione?
«Credo che ogni volta che si mette in moto la creatività, nel nostro subconscio si attinga a quel pozzo di esperienze e sensazioni del passato. Quando vado in studio a registrare, mi trovo lì perché ogni giorno della mia vita, da quando avevo 15 anni e ho iniziato a scrivere testi e poesie, ho lavorato per arrivarci. Quando sono al microfono, sono in relazione con quei me che rappavano quando nessuno voleva ascoltare, che si avvicinavano agli sconosciuti dicendo “ho queste rime, ti va di sentirle?”. Tutte queste sono le mie fondamenta».
Certi versi suonano come un manifesto: considera il suo lavoro politico?
«La politicizzazione di corpi come il mio ed esperienze come la mia accade, ma per me non è politica, è vita: questa è la mia storia. Per altri è politica, ma per me è solo respirare nel mio corpo».
Si chiede: «Con tutti i problemi che ci sono, perché i corpi trans rientrano sempre all’ordine del giorno?». Che risposta ha?
«Che forse questo dibattere ci dice qualcosa sulle tattiche di distrazione? E che se marginalizzi un particolare gruppo di persone, trans o altre, stai anche marginalizzando te stesso. Nel non sentirti connesso con gli altri, non lo sei neanche con ciò che accade, in una desensibilizzazione costante. Quando io mi sento disconnesso o isolato, spesso è la musica a riportarmi in me, qualcosa che leggo o una performance che vedo. Quindi non so come mai ci siamo allontanati così tanto dalla nostra umanità e da noi stessi, ma la creatività è un allenamento all’empatia: quando ti immergi nella storia di qualcun altro, che è quel che facciamo quando leggiamo un romanzo o guardiamo un film, stai allenando il muscolo del metterti nei panni dell’altro. A prescindere dalla politica, al di sotto, c’è qualcosa di più profondo e importante».
Però alcune conversazioni, anche politiche, sono necessarie: i diritti civili si ottengono molto lentamente.
«Sì, ma le cose si muovono, anche se lentamente. E questo non è bellissimo?».
Molti testi del disco fanno riferimento al suo percorso di transizione, fra il testosterone, i peli sul petto, le discriminazioni di chi «sbaglia il gender intenzionalmente». Oggi come si sente?
«Meravigliosamente. Sono vivo e non mi sono mai sentito meglio, finalmente posso abbracciare quel bambino, tornare indietro e portargli conforto, dopo che per tanto tempo non è stato così».
Sente la responsabilità di rappresentare la comunità queer?
«Non direi responsabilità, ma amore. Amo la mia community, amo tutti noi. Siamo persone bellissime e abbiamo molta esperienza che può essere utile a far stare bene altre persone. Ci amo per questo».
Che effetto le ha fatto vincere il Leone d’argento?
«È un premio incredibile! I miei testi in italiano vivono grazie al lavoro di altre persone, quindi il premio è anche per loro. Amo la creatività: una cosa esce da te, ma può trovare vita nell’esperienza di qualcun altro. Se parliamo di transizioni, questa per me è la più bella di tutte». 

3 luglio 2025

3 luglio 2025

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