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Jennifer Lawrence: «Racconto il lato oscuro della maternità»

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Più matura, più consapevole, più controllata. Ma sempre pronta a concedersi ai fan che ancora — nonostante l’Oscar per Il lato positivo — la riveriscono come eterna Katniss Everdeen, l’eroina di Hunger Games. Jennifer Lawrence accompagna alla Festa di Roma Die My Love della regista scozzese Lynne Ramsay, già in concorso a Cannes, in sala con Mubi dal 27 novembre. Un’indagine urticante sui lati più oscuri della maternità, attraverso la figura di Grace (Lawrence, anche produttrice con Martin Scorsese) che da New York si è trasferita con il marito Jackson (Robert Pattinson) in una casa isolata in piena campagna con il progetto di scrivere un romanzo. Si troverà avviluppata nelle spire di una depressione post partum e dell’incapacità di tutti, marito in primis, di capire il suo disagio. Un argomento per molti ancora tabù. «Può essere veramente destabilizzante, ti puoi sentire sola, un’aliena. Rispetto al passato oggi se ne parla di più, questo è positivo. Lynne racconta bene lo spaesamento di Grace di fronte ai cambiamenti che vive dopo il parto, il fatto che non si senta più sessualmente attraente, mentre il marito non capisce cosa le stia accadendo». È stato il libro da cui è tratto il film, della scrittrice argentina Ariana Harwicz, a conquistarla. «Non avevo mai letto nulla di simile. Mi ha aperto gli occhi sulla natura selvaggia del post parto o qualunque tipo di depressione. Era il mondo a non capirla, non lei ad avere qualcosa che non andava».

Lawrence ha pescato dalla sua esperienza personale, madre di due figli, di tre anni e di sei mesi, avuti con il gallerista Cooke Maroney. «Sono un’attrice, lavoro con le emozioni. Prima di diventare mamma, non avevo idea che esistesse un intero oceano di sentimenti, amore e paura». Era incinta del secondo figlio durante le riprese. Ne ha fatto tesoro, anche nelle scene in cui recita nuda. «Non ho mai avuto problemi, la nudità non mi dà fastidio, se serve al film. Volevo che Lynne si sentisse libera, che avesse piena libertà artistica. Essere incinta è stato liberatorio. Pensavo: “Ho la cellulite, i capezzoli sono enormi, ho la pancia”. È stato bello non preoccuparmene», scherza.

Con Pattinson si sono intesi bene. «È un grande attore, una persona intelligente. Mi ha aiutato ad arricchire la loro storia, a mostrare il loro profondo amore reciproco. Che rende ancora più triste il momento in cui lei finisce dove lui non può seguirla, e lei si sente invisibile ai suoi occhi».

È cambiata davvero Lawrence. Sembra aver fatto tesoro di tutto, anche delle scivolate. Non tanto quelle comiche sui red carpet, o le proverbiali gaffe a favore di telecamere. Quanto quelle artistiche. Come i fischi a Venezia nel 2017 per mother! di Aronofsky (allora suo compagno), proprio al festival dove nel 2008 tutto ebbe inizio, con il premio Mastroianni per The Burning Plain di Guillermo Arriaga. «Era la prima volta che andavo all’estero — racconta l’ex ragazza cresciuta tra i campi di Louisville, Kentucky —, Venezia, poi Roma con la mia famiglia, mentre il mio sogno di fare l’attrice diventava realtà. Ci ripenso con un po’ di nostalgia». Ha fatto i conti con la notorietà. Allora diceva: «Di notte mi sogno i paparazzi che mi spiano dovunque». Ora sorride: «Quando ero giovane mi spaventava molto e mi faceva arrabbiare, sentivo di meritare il rispetto della mia privacy. Ora la vivo con serenità, che è qualcosa che ho cercato. Sono più in pace con me stessa».

E oltre a produrre i film, si sente anche pronta a dirigerli. «La mia adolescenza è stata costellata da registe. Ho debuttato in un film diretto da una donna, Lori Petty, The Poker House, poi ho recitato in Un gelido inverno di Debra Granik e, subito dopo, sono stata diretta da Jodie Foster in Mr. Beaver. Ho capito fin dall’inizio che era possibile, volevo essere come loro. Sui set cerco di imparare tutto, faccio domande, osservo. Non mi fermo qui».

20 ottobre 2025

20 ottobre 2025

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