
Al primo banco della basilica di San Pietro, durante il rito del Venerdì Santo, siede J.D. Vance e la sua famiglia. Il vicepresidente degli Stati Uniti ha la faccia attenta di chi ascolta, mentre stringe tra le braccia la figlia minore, Mirabel, che dorme beata sulle sue spalle del padre. Accanto, la moglie Usha e gli altri due figli, Ewan e Vivek, che devono aver ricevuto indicazioni su come comportarsi nella chiesa più importante del mondo, anche se a Vivek, forse un po’ stanco e annoiato, scappano le gambe incrociate sulla sedia di velluto rosso. Nelle due file dietro, le guardie del corpo che guardano in allerta.
Vance dovrebbe essere ricevuto domani in Vaticano dal cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, e c’è anche qualche possibilità che incontri brevemente papa Francesco, ancora convalescente. Appena due mesi fa, i due hanno avuto uno scontro di opinioni sui migranti. Per giustificare la stretta sul tema voluta dall’amministrazione di Donald Trump, Vance ha citato Sant’Agostino – mito personale – e il suo ordo amoris – l’«oridine dell’amore». Secondo il vicepresidente il santo intendeva che prima si ama e ci si prende cura dei propri concittadini e poi degli stranieri. In una lettera, Papa Francesco lo ha contraddetto e ha spiegato che il «vero ordo amoris è quello che scopriamo meditando costantemente la parabola del buon Samaritano, meditando cioè sull’amore che costruisce una fraternità aperta a tutti, nessuno escluso».
«Mi scuserete», ha detto Vance a marzo durante il National Catholic Prayer Breakfast, «so bene di essere un baby catholic, se mai mi sentiste pontificare sulla fede cattolica, vi prego di riconoscere che proviene da una profonda convinzione, ma deriva anche da una situazione in cui non so sempre tutto». E facendo riferimento allo scambio con il Papa ha spiegato: «Il mio obiettivo qui non è litigare con lui o con qualsiasi altro membro del clero su chi ha ragione e chi ha torto. Ovviamente conoscete le mie opinioni e parlerò loro in modo coerente, perché credo che sia quello che devo fare, perché è ciò che serve al meglio gli interessi del popolo americano».
Vance è un «baby catholic», ma è molto convinto: non a caso ha scelto la Settimana Santa per visitare l’Italia. Si è battezzato a giugno del 2019 a Cincinnati dopo mesi di incontri e studio della Bibbia e della filosofia religiosa con Padre Henry Stephan, della chiesta di St. Gertrude. Questa è la sua seconda conversione nota al pubblico – la prima è quella al trumpismo che in passato aveva criticato duramente -, ma deve essere la trasformazione più profonda. Una volta ha scritto: «Convertirsi al cattolicesimo significava unirsi alla resistenza». A Rod Dreher, scrittore conservatore e cristiano ortodosso, ha detto in un’intervista: «Le mie opinioni sulle politiche pubbliche e su come dovrebbe essere lo stato sono piuttosto in linea con la dottrina sociale cattolica». E ancora: «Ho notato una reale sovrapposizione tra ciò che vorrei vedere io e ciò che la Chiesa cattolica vorrebbe vedere» .
Cresciuto con gli insegnamenti evangelici, per lui il cattolicesimo è stato il modo per contrastare quei modi di vivere che definisce «d’élite». Era attratto dalla visione della Chiesa sulla famiglia e l’ordine sociale: un insieme di regole e filosofie agli antipodi rispetto a quelli che ha vissuto durante la sua infanzia disordinata e senza grandi punti di riferimento.
Non lo ha mai dichiarato ufficialmente, ma la sua politica radicale, a volte, sembra rispecchiare i dettami di un movimento intellettuale cattolico, considerato da alcuni con tendenze reazionarie, che, in alcuni casi, si definisce «post-liberale».
I cosiddetti post-liberali si oppongono all’aborto e ai diritti Lgbtq+. Sognano una contro rivoluzione dove poter prendere il controllo della burocrazia governativa e delle istituzioni, come le università: vogliono sostituire quelle che considerano le élite liberal. Tutto, per il «bene comune», ovviamente.
18 aprile 2025 ( modifica il 18 aprile 2025 | 20:11)
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