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JD Vance, il vice di Trump a Palazzo Chigi con lo sguardo al Vaticano

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Più che l’eccessivo entusiasmo di una parte della maggioranza, e i giudizi demolitori e pregiudiziali delle opposizioni, conta la reazione arrivata ieri dalla Commissione Ue. E ufficiosamente, da Bruxelles hanno approvato il colloquio di giovedì alla Casa Bianca tra la premier Giorgia Meloni e il presidente Usa Donald Trump. È stato ritenuto «un’occasione utile per creare ulteriori ponti nel rispetto dei diversi ruoli, come già affermato da Meloni». Parole misurate, che riflettono il raccordo stretto con Ursula von der Leyen. I colloqui di venerdì tra Meloni e il vicepresidente James David Vance, poi allargati con una colazione con i vicepremier Antonio Tajani, ministro degli Esteri, e Matteo Salvini, hanno aggiunto solo un tocco alle ottime relazioni tra i due Paesi. 

Nei toni trionfalistici almeno di FdI, e nel quasi silenzio della Lega, si coglie la misura del protagonismo di Meloni e il ruolo dei suoi alleati. Ma i riflessi di politica interna, punteggiati da polemiche e lodi scontate, rischiano di oscurare il motivo principale della visita di Vance. L’obiettivo non è tanto quello di trascorrere una vacanza pasquale con la famiglia nel Bel Paese, o solo di incontrarsi col governo italiano. L’obiettivo di Vance è di misurare e se possibile distendere i rapporti tra la nuova Amministrazione e il Vaticano. 

Venerdì pomeriggio il vicepresidente ha partecipato alla messa in piazza San Pietro per il Venerdì Santo, con tanto di auguri a «tutti i cristiani del mondo». L’attenzione della Casa Bianca è al colloquio di sabato col segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin. Il messo di Trump cercherà di capire se esistono margini per recuperare il dialogo. Finora sono state le tensioni a connotare le relazioni tra Francesco e la Casa Bianca; e fin dal primo mandato trumpiano. E continuano a esserlo in primo luogo sul modo discutibile col quale gli Stati Uniti trattano il tema dell’immigrazione: una questione sulla quale il Pontefice mostra un approccio fatto di accoglienza, agli antipodi rispetto all’America. 

Il secondo tema delicato riguarda la Cina. Da quando a ottobre la Santa Sede ha confermato per quattro anni l’accordo segreto con Pechino, gli Usa non hanno nascosto il disappunto. E proprio Parolin replicò che il Vaticano sarebbe andato avanti comunque. La terza questione è il cattolicesimo Usa. L’episcopato è diviso, benché abbia protestato con Francesco per la politica sugli immigrati. Vance ha usato parole ruvide verso il Papa, e offensive con i vescovi. In più, come ambasciatore presso la Santa Sede è stato scelto Brian Burch, critico tetragono di Francesco. A vantaggio di Vance, convertitosi di recente, c’è però il voto del 56% dei cattolici Usa.

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18 aprile 2025

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