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Iran-Usa, il dialogo in due stanze lontane. Poi quel contatto diretto: la tela sul nucleare

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Anche se il contenzioso sul nucleare iraniano è materia tristemente seria, la politica internazionale può avere risvolti adatti talvolta a sconfinare nella cinematografia, in film capaci nei suoi personaggi di descrivere un’epoca. Nelle sale messe a disposizione dei negoziatori a Roma dall’ambasciatore del Sultanato dell’Oman, ieri, i protagonisti che vi sono entrati avevano alle spalle percorsi di vita vistosamente diversi.

Come nell’avvio dei negoziati il 12 aprile a Muscat, stando alla versione fatta filtrare, l’inviato del presidente Donald Trump e il rappresentante della Repubblica islamica della Guida Suprema Ali Khamenei hanno lavorato in stanze distanti. A fare da intermediari, gli omaniti. Ma come a Muscat, secondo fonti informate, non è mancato un contatto diretto.
 
A Roma è avvenuto nella parte finale di circa quattro ore di questo strano dialogo tra due Stati privi di relazioni diplomatiche, interrotte a causa del sequestro dell’ambasciata americana a Teheran cominciato nel 1979, durato 444 giorni e con 52 ostaggi nelle mani di studenti fondamentalisti islamici.

Negoziati, arte e potere

Nel territorio formalmente omanita su via della Camilluccia, in una sala della sede diplomatica era la delegazione americana guidata Steve Charles Witkoff, 68 anni, immobiliarista miliardario di New York, scelto da Trump per occuparsi delle trattative con la Russia sull’Ucraina, oltre che di Medio Oriente, dopo essersi pronunciato in passato contro le sanzioni a Mosca. In un’altra sala, gli iraniani al seguito del ministro degli Esteri Sayyed Abbas Araghchi, 62 anni, già ambasciatore a Helsinki e Tokyo, trascorsi in centri studi, autore di un libro dal titolo The Power of Negotiation, Il potere della negoziazione, che malgrado lo stile diverso può ricordare The Art of the Deal, L’arte degli affari, e deal può significare anche accordo, pubblicato da Trump nel 1987 con Tony Schwartz.

Nella prima parte delle trattative, a far la spola tra i due per riferirne le rispettive valutazioni, è stato soprattutto il ministro degli Esteri dell’Oman dal lungo nome Badr Sayyid bin Hamad Hamoud Albusadi, 64 anni, laurea ad Oxford in Politica ed economia, in precedenza negoziatore con gli Usa per normative sul lavoro.

Che le preoccupazioni causate dall’arricchimento dell’uranio in Iran siano reali potrebbe rammentarlo il nome di un altro straniero di passaggio ieri per Roma: Ron Dermer, ministro israeliano con delega sul vasto campo degli Affari strategici, 54 anni, negoziatore sugli ostaggi di Hamas a Gaza.

Non si ha notizia di se e quali rapporti abbia avuto con ospiti  dell’ambasciata omanita. Si dà il caso che venerdì Dermer fosse a Parigi con il direttore del Mossad, Ron Barnea, e che lì abbia incontrato Witkoff. A Roma è stato visto in una zona frequentata ieri da JD Vance, il vice di Trump.

Che la sessione romana di trattative sia terminata con l’intenzione di coinvolgere tecnici nei negoziati, e di riprendere il confronto entro fine mese a Muscat o altrove, non è cattivo segno. Da come finiranno questi negoziati comunque dipenderanno possibilità che spaziano da un calo dell’inquietudine del Medio Oriente, in caso di successo, a, se i tentativi falliranno, un temerario dirigersi dell’Iran sull’ultimo tratto dell’arricchimento di uranio che lo separa dal disporre di bomba atomica. Nel raggio di ciò che si può verificare anche prima di allora, un’offensiva militare pesante dello Stato di Israele — del quale il regime degli ayatollah si prefigge la distruzione — e non solo.

Bombe anti-bunker

Come riportato da Washington Post, in un incontro delle settimane scorse con il consigliere della sicurezza nazionale statunitense Michael Waltz e alti funzionari, Dermer ha sostenuto che se l’aviazione americana utilizzasse bombe bunker buster, distruttrici di bunker, da 30 mila libbre gli Usa e Israele potrebbero annientare gli impianti nucleari iraniani nascosti sotto terra.

Il ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani tra venerdì e ieri ha ricevuto i colleghi iraniano, omanita e il direttore dell’Agenzia internazionale dell’energia atomica Rafael Grossi. Quale sarà la sorte dei piani nucleari di Teheran non è solo questione mediorientale.


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19 aprile 2025

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