
Sedici giungo, poco prima di mezzogiorno. Sei missili israeliani colpiscono un edificio della zona ovest di Teheran. Il presidente iraniano Masoud Pezeshkian si trova nei piani inferiori: partecipa alla riunione del Consiglio supremo per la sicurezza nazionale. Accanto a lui anche il presidente del parlamento, Mohammad Bagher Ghalibaf, e il capo della magistratura, Mohseni Ejei. «Gli aggressori hanno preso di mira gli ingressi e le uscite del palazzo lanciando sei bombe per bloccare le vie di fuga e interrompere il flusso d’aria», scrive l’agenzia Fars, legata ai Guardiani della Rivoluzione. Gli uomini, tra cui Pezeshkian, vengono feriti alle gambe, ma riescono a scappare «attraverso un portello di emergenza predisposto in anticipo». Pezeshkian si salva per un soffio.
Questa nuova informazione conferma le dichiarazioni del presidente rilasciate in un’intervista con Tucker Carlson, di Fox News, dove accusa Israele di aver tentato di assassinarlo, senza però ammettere di essere rimasto ferito: «Ci hanno provato, ma hanno fallito».
In questo clima post-guerra di paranoia e ricerca del traditore, Mehdieh Shadmani, figlia di Ali Shadmani, un comandante delle Guardie della Rivoluzione ucciso nei raid israeliani, afferma sui social che in quei dodici giorni di conflitto, il Mossad sarebbe andato ben oltre WhatsApp, la geolocalizzazione o lo spionaggio tradizionale: «La posizione di mio padre cambiava ogni poche ore. Non aveva con sé alcun dispositivo elettronico e rispettava tutti i protocolli di sicurezza».
Si fanno anche ipotesi che rasentano l’assurdo. Abdollah Ganji, ex direttore di un giornale legato alle Guardie della Rivoluzione, scrive su X che secondo lui l’intelligence israeliana si sarebbe affidata a scienze occulte e a creature soprannaturali.
Le notizie che arrivano da Teheran sono legate da tre punti. Primo. La conferma di come Israele sapesse dove trovare la leadership politica e militare. Gli uomini di Netanyahu conoscevano non solo i luoghi che ospitavano i dirigenti ma anche i rifugi di emergenza. Infatti, ha anche eliminato in alcuni casi i successori dei capi uccisi.
Secondo. È evidente che gli apparati di sicurezza e i familiari dei generali vogliono capire come sia stato possibile la decapitazione. Interessante che la figlia di Shamdani escluda che la breccia sia stata rappresentata dai cellulari. Esiste sempre il sospetto del tradimento da parte di qualcuno, una fonte in carne ed ossa ai massimi livelli che ha passato le dritte al nemico. Uno scenario simile a quello che ha portato all’annientamento dei capi Hezbollah a Beirut. Terzo.
Terzo. Ambienti iraniani tendono – a volte per ragioni interne – ad amplificare le capacità del Mossad evocando metodi e sistemi «mirabolanti». La fiction si mescola alla realtà mentre l’intelligence israeliana sfrutta questi ganci per rilanciare la propria immagine.
Siamo nel mezzo del gioco di specchi che è parte della sfida tra spie fin dall’epoca della Guerra Fredda. Solo che oggi ci sono social e nuovi media che aumentano i riflessi.
Nella capitale iraniana si inseguono le voci su possibili nuovi attacchi, l’esplosione in un appartamento diventa il possibile teatro di un altro omicidio mirato. Girano nomi di gerarchi e il regime smentisce tutto diffondendo le foto della presunta vittima viva e vegeta.
Da Israele replicano con una ricostruzione aggiornata dell’omicidio di Mohsen Fakrizadeh, la mente del piano nucleare. L’obiettivo – scrive il Jerusalem Post – è stato ferito quando era ancora all’interno della sua vettura ed ha avuto il tempo per uscire cercando di mettersi al riparo. Ma una seconda sequenza di proiettili non gli avrebbe dato scampo. Gli agenti segreti avrebbero usato una mitragliatrice di fabbricazione americana modificata per essere guidata da remoto, un’arma celata all’interno di un camioncino parcheggiato al lato della strada.
14 luglio 2025
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