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Iran e Nato: il trionfo di Cina e Russia è rinviato?

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Si può sempre trovare una dietrologia che rovescia le apparenze. E quindi trasformare gli eventi degli ultimi giorni in altrettanti successi per gli sconfitti apparenti. La guida suprema della Repubblica islamica, l’ayatollah Khamenei, è un esempio: si dichiara vincitore contro Israele e Stati Uniti, per il semplice fatto di essere sopravvissuto, a fronte di un obiettivo proclamato (da Netanyahu più spesso che da Trump) di rovesciare il suo regime. Agli occhi di molti iraniani, e delle altre nazioni mediorientali, tuttavia, il dato principale rimane l’inferiorità strategica di Teheran. Dopo aver terrorizzato per decenni l’intero Medio Oriente con le sue milizie e i suoi alleati-sicari, la teocrazia iraniana ha subito colpi micidiali senza difendersi efficacemente né proteggere il proprio popolo o gli alleati Hamas, Hezbollah, Assad. L’Iran sembrava una potenza invincibile fino al 7 ottobre 2023 e anche per diversi mesi successivi, ora assomiglia piuttosto alla leggendaria «tigre di carta» degli aforismi di Mao Zedong. Ma tant’è, se lo si vuole descrivere come un vincitore, ci si riesce sempre.

Altri due esempi di narrazioni controintuitive, in cerca delle verità nascoste (o presunte verità), riguardano Cina e Russia. Xi Jinping gongola perché il Pentagono ha dovuto spostare la portaerei Nimitz (e la sua flotta di contorno) dall’Indo-Pacifico verso il Medio Oriente; la decisione di Donald Trump di bombardare i siti nucleari iraniani risucchia nuovamente l’America nel Golfo e indebolisce la sua capacità di difendere Taiwan da un attacco cinese. È la verità, e l’ho scritto anch’io, che dall’11 settembre 2001 il Medio Oriente ha sistematicamente distratto gli Stati Uniti da quel teatro principale dove il loro rivale strategico si sta allargando. In quanto a Putin, un retroscena sostiene che il suo non-intervento in difesa dell’Iran sia in realtà un’astuzia, un gesto offerto a Trump per ottenerne in cambio delle contropartite sull’Ucraina (qui in fondo vi propongo come lettura proprio questo genere di ricostruzione).

A volte però, a furia di cercare qualche verità nascosta, controintuitiva e sorprendente, ci si dimentica di osservare quello che abbiamo davanti agli occhi. La Nato che si prefigge di alzare al 5% le spese per la propria sicurezza, è un pessimo risultato per Putin. Si sta concretizzando il suo autogol geopolitico, la cui conseguenza più grave nel lungo periodo è il riarmo della Germania. A furia di spaventare i suoi vicini Putin ha finito per svegliarli dal loro letargo strategico: prima ha spinto due paesi neutrali come Svezia e Finlandia nella Nato, ora costringe il colosso economico tedesco a uscire da 80 anni di pacifismo e di disarmo. Tenuto conto che la Germania fu l’unica potenza a invadere per due volte la Russia nel Novecento, e alla luce della sua stazza economica e tecnologica, vedere il cancelliere Merz alla guida dei più decisionisti fra i leader Nato sul tema del 5%, è un fallimento di portata storica per Mosca. Non solo non c’è stata la defezione dell’America dai suoi impegni atlantici, ma abbiamo un’Europa che pur lentamente si prepara a difendersi anche da sola, nell’eventualità che la protezione Usa sia comunque in fase di ridimensionamento.

Xi Jinping è meno esposto al riarmo della Nato. Anzi lui ha incassato l’assenza di Giappone e Corea del Sud dal vertice dell’Aia: problemi domestici, crisi mediorientale, negoziati in corso sui dazi, hanno consigliato ai due leader di Tokyo e Seul di non partecipare come ospiti e osservatori al summit Nato, benché fossero stati invitati. Ai tempi di Biden si era cominciato a parlare di una Nato asiatica costruita attorno al triangolo Usa-Giappone-Corea del Sud, magari allargata a Filippine, Australia, Nuova Zelanda. Con Trump non se ne parla più. Però Xi ha dato uno spettacolo d’impotenza di fronte all’attacco contro l’Iran. Eppure il 90% del petrolio iraniano viene comprato proprio dalla Cina. Ora può darsi che Pechino si impegni generosamente nella ricostruzione dell’Iran, dopo averlo già aiutato in passato con abbondanti forniture militari. Però nell’ora del bisogno l’Iran si è trovato solo. La dipendenza energetica della Cina dal Golfo la rende vulnerabile e riduce la sua capacità di manovra.

Più in generale: le alleanze che Xi Jinping ha costruito, talvolta ci sembrano formidabili perché non le guardiamo da vicino. Un aneddoto significativo. Il 6 e 7 luglio si tiene il prossimo vertice dei Brics, a Rio de Janeiro sotto la presidenza di turno di Lula. I Brics sono una costruzione voluta soprattutto dalla Cina, in funzione implicitamente anti-americana. L’acronimo iniziale indicava i membri fondatori, Brasile Russia India Cina Sudafrica. In seguito se ne sono aggiunti altri, incluso l’Iran, con l’idea di costruire un club di potenze emergenti da contrapporre idealmente al club dei vecchi paesi ricchi che è il G7. Ma si vocifera che Xi Jinping potrebbe saltare l’appuntamento di Rio, e in tal caso sarebbe il primo summit di questo genere in cui lui si fa sostituire dal premier Li Qiang. Tra le spiegazioni ufficiose, evocate da un giornale solitamente ben informato (il South China Morning Post di Hong Kong): il fatto che Lula ha previsto una cena di gala in onore del premier indiano Narendra Modi. I Brics, per essere rappresentativi del mondo emergente e non occidentale, pullulano di paesi filo-americani, in testa l’India e la recente new entry che è l’Arabia saudita. L’India ha con la Cina rivalità storiche, tra cui un contenzioso territoriale sfociato più volte in scontri di frontiera; e una competizione molto più recente per attirare le delocalizzazioni di multinazionali che riducono la loro presenza in Cina. Il cammino trionfale verso un nuovo mondo sino-centrico, che Xi ha in mente, è disseminato di asperità e ostacoli.

Qui sotto vi propongo, per completezza, la lettura dietrologica in cui Putin sarebbe segretamente appagato dagli ultimi eventi in Iran. Non la abbraccio, ma è un punto di vista interessante, l’autore è l’esule russo Mikhail Zygar, docente alla Columbia University, opinionista per Der Spiegel e New York Times. Ecco un estratto della sua analisi:

**Perché il Cremlino accoglie con favore l’escalation in Medio Oriente**

«La Russia ha reagito con relativa indifferenza allo scoppio della guerra tra Israele e Iran. Non è affatto sorprendente: Putin è piuttosto soddisfatto e spera di poter ora negoziare con Donald Trump nuove condizioni sull’Ucraina in cambio della non-interferenza nel conflitto iraniano. … Nel suo intervento al Forum Economico di San Pietroburgo, Putin si è mostrato insolitamente cauto. Ha riconosciuto che Russia e Iran sono legate da diversi accordi bilaterali—tra cui un partenariato strategico firmato nel gennaio di quest’anno. Tuttavia, ha precisato, questi non riguardano la sfera militare. Ha anche aggiunto che la Russia aveva offerto all’Iran assistenza per la costruzione di un sistema di difesa aerea, ma Teheran ha rifiutato. In breve, Putin non è corso in difesa dell’Iran, come alcuni si aspettavano. Il Cremlino, ovviamente, criticherà i partecipanti al conflitto—ma non con l’intento di intervenire, bensì per ottenere nuove concessioni. Il conflitto tra Israele e Iran è, indubbiamente, una buona notizia per Putin. I prezzi del petrolio salgono. La guerra in Ucraina viene relegata in secondo piano dai media internazionali. La “putinizzazione” della politica mondiale è evidente: le guerre su vasta scala dopo il 2022 non sembrano più impensabili. A livello personale, Putin conosce da tempo Benjamin Netanyahu. La loro relazione è di lunga data: si sono incontrati per la prima volta nel 2000, quando Putin era appena diventato presidente e Netanyahu, già ex primo ministro, era in corsa per la leadership del Likud contro Ariel Sharon. Netanyahu è uno dei leader che ha avuto più incontri con Putin. Hanno spesso mostrato una certa affinità. Ad esempio, nel 2020, durante il forum per la commemorazione dell’Olocausto allo Yad Vashem di Gerusalemme, il governo israeliano concesse a Vladimir Putin di intervenire—negando però la parola al presidente ucraino Volodymyr Zelensky (un ebreo, con familiari morti nell’Olocausto). «Cerco di non rovinare nulla, solo di migliorare le cose», ha detto recentemente Putin quando gli è stato chiesto se il suo rapporto con Netanyahu si fosse deteriorato dopo l’invasione dell’Ucraina. In ogni caso, Israele non ha aderito alle sanzioni internazionali contro la Russia—ad esempio, non ha chiuso il proprio spazio aereo ai voli russi, e fino a oggi ci sono ancora voli diretti tra Mosca e Tel Aviv. Quando il conflitto armato è iniziato, Putin ha chiamato sia il primo ministro israeliano che il presidente iraniano Masoud Pezeshkian. Ha lamentato che i raid israeliani violavano la Carta delle Nazioni Unite. Ha persino offerto, con tono beffardo, i servizi di mediazione della Russia a Trump, presentandosi come pacificatore. «Abbiamo rapporti molto amichevoli con l’Iran», ha detto al forum di San Pietroburgo. “Non imponiamo nulla a nessuno; condividiamo semplicemente la nostra visione su come si potrebbe risolvere la situazione, ma la decisione spetta alla leadership politica di Iran e Israele”. Secondo fonti a Mosca, per Putin la sua guerra in Ucraina resta ovviamente molto più importante del conflitto tra Israele e Iran. Per questo, Putin farà di tutto per sfruttare la guerra in Iran a proprio vantaggio—ossia, barattare la sua rinuncia ad aiutare l’Iran con concessioni da parte dell’amministrazione Trump sull’Ucraina. Mantenere lo status della Russia come parte neutrale e perfino amichevole nel conflitto Iran-Israele potrebbe sembrare un obiettivo importante per gli Stati Uniti—a prescindere dal fatto che Putin non abbia mai davvero avuto intenzione di schierarsi con Teheran. La retorica secondo cui Putin starebbe aiutando Trump a evitare la Terza guerra mondiale verrà sicuramente utilizzata più di una volta, sia a Mosca che a Washington».

26 giugno 2025

26 giugno 2025

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