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Inter, Zalewski: «Chivu crea rapporti umani. Non sono un predestinato, pranzavo in auto per allenarmi»

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Nicola Zalewski, anche lei come Pio Esposito ha esordito con il club dove è cresciuto (la Roma) a 19 anni in una gara internazionale, in Champions con lo United, risultando decisivo per la vittoria: «Sì, con mezzo gol…».

Ha dei consigli per Pio?
«Tutti abbiamo visto le sue qualità l’anno scorso allo Spezia e ora che l’ho conosciuto, posso dire che ha anche tante qualità umane. Il consiglio è quello di non smettere mai di lavorare, perché arriveranno i momenti difficili. È successo a me e vale per tutti».

Lei è appena stato riscattato. A convincere l’Inter è stata la sua duttilità?
«Penso di sì. Il fatto di poter giocare in più ruoli e di aver segnato a Torino nella prima partita da trequartista, giocando bene anche a Como, è stato importante».

La scintilla però era scattata subito, nel derby poche ore dopo il suo sbarco a Milano, con l’assist per De Vrij.
«Appena ho messo piede ad Appiano, in me è scattato qualcosa di speciale, non solo a livello di campo, ma anche nel rapporto con le persone. Ho lavorato dal primo giorno per rimanere. E non lo considero un punto di arrivo».

L’esito della Champions vi farà puntare con più forza allo scudetto?
«La Champions resta una competizione dove vogliamo arrivare più avanti possibile, poi sappiamo che ci sono tante squadre forti. La sconfitta è stata pesante, però è stata già un po’ digerita: riprenderemo il nostro percorso».

Quello da trequartista per lei è un ritorno alle origini.
«Fino alla Primavera giocavo lì, ma in prima squadra cambia tutto, il ritmo e la fisicità. Negli ultimi tre anni sono stato impiegato da quinto di centrocampo e mi sono trovato molto bene anche lì. So che suona banale, ma gioco dove vuole l’allenatore».

Per lei destro o sinistro non fa grossa differenza: ci ha lavorato o è un dono?
«È una dote naturale».

Cosa l’ha colpita nell’impatto con Chivu?
«L’aspetto comunicativo, il rapporto umano che crea».

Tutti e due dovete qualcosa a Mou. Ne avete parlato?
«No, ma ci sarà occasione».

Lei ha detto che «la parola predestinato non mi va giù, perché sembra che tutto debba succedere per forza».
«La gente pensa che il talento basti per sfondare: trascura tutto il sacrificio quotidiano che c’è dietro».

Come si fa a non sciupare il talento e a resistere alle tentazioni di una gioventù come tutte le altre?
«La domanda che ti devi fare è: cosa vuoi fare da grande? Io volevo fare questo».

È anche per questa mentalità che CR7 è un idolo?
«Sì, a livello mentale lui è fuori dal comune».

Poli, il paesino dove è cresciuto, è così piccolo che lei sarà uno dei pochi bambini d’Italia che hanno imparato a giocare in strada. È così?
«Sì, c’è solo un campo comunale e non potevamo consumarlo».

Sente che alcune sue abilità nascono dalla strada?
«Sì, sicuramente se sono qui adesso è grazie anche a quei momenti lì, vissuti da bambino. E a quel contesto».

Tra Poli e Trigoria con il traffico sono quasi tre ore fra andata e ritorno. Mangiava e studiava in auto?
«Fa parte delle cose che la gente non vede: finita la scuola i miei genitori mi venivano a prendere, pranzavo nel tragitto e poi dopo l’allenamento facevo i compiti. Dalle superiori ho iniziato la scuola a Trigoria e mi sono diplomato».

È vero che suo padre, prima di diventare romanista grazie a lei, era interista?
«Sì, a Poli c’erano tanti interisti e quando è arrivato in Italia lo è diventato anche lui».

Krzysztof è fuggito dal comunismo nel 1988, è stato sposato con Ewa da Papa Woytla, ha costruito la famiglia, l’ha accompagnata nella sua crescita e poi, pochi giorni dopo il suo debutto con la Polonia, mentre lei è in ritiro per il derby, muore. A 20 anni come si convive con una tempesta così?
«Non è facile, ma papà aveva costruito una famiglia forte e ci ha dato dei grandi valori. Mi sento anche di ringraziare Mourinho, perché mi ha aiutato tanto in quel periodo. E non parlo di calcio».

Nella sua testa le capita mai di parlare con papà?
«Praticamente ogni giorno. So comunque quanto è orgoglioso di me e ogni tanto penso: chissà se fosse qui… Però credo nel destino: se una cosa deve succedere, succede».

Nonna, mamma e sorella maggiore di dieci anni: una sua eventuale fidanzata quanti esami deve superare?
«Bella domanda, ma vale soprattutto per mia sorella: è lei che mi sta più dietro su queste cose…».

E lei di esami sente di doverne superare per crescere ancora?
«I margini di crescita ci sono anche a 30 o 40 anni e a questa Inter penso e spero di dare tanto. Di sicuro metterò tutto me stesso in ogni minuto che giocherò».

29 giugno 2025 ( modifica il 29 giugno 2025 | 07:04)

29 giugno 2025 ( modifica il 29 giugno 2025 | 07:04)

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