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Inter, Chivu il dittatore democratico che si sta prendendo i nerazzurri (ma non sa dove fumare)

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Nella sua tesi del 2020 a Coverciano, alla quale abbina una laurea in Scienze Motorie, un master in Marketing e la problematica ricerca di angoli per fumatori qui negli Usa, Cristian Chivu si definisce un «uomo fortunato». E in una recente intervista «un dittatore democratico»: per prendere in corsa una squadra che aveva giocato 59 partite azzerando quasi tutto a Monaco, Cristian Chivu però finora ha puntato soprattutto sull’empatia e sul suo particolare sguardo sul mondo, fatto anche di «parole gentili, dell’apprezzamento delle cose belle», ma anche di metafore un po’ trash come quelle della m. da masticare, per rendere meglio l’idea. E soprattutto ha fatto leva «su nuove metodologie che i ragazzi sono bravi a recepire».

Il progetto Chivu con Repetti e Pio Esposito

L’Inter è stata fortunata: allenarsi due settimane nel caldo secco di Los Angeles e poi nel fresco rigenerante di Seattle, le ha consentito anche di assaggiare il lavoro di Stefano Rapetti, altro reduce del Triplete mourinhano, che per la prossima stagione deve risolvere il problema del calo fisico nei finali di partita. Il ritmo delle sedute è alto, gli stimoli dinamici sono tanti e ogni esercitazione a 20 gradi sembra meno faticosa che ai 35 umidi di Charlotte, dove l’Inter ieri si è goduta un giorno di riposo vero dopo il lungo viaggio di giovedì e dove alle 15 (le 21 in Italia) di lunedì sfida agli ottavi il Fluminense dei grandi vecchi Thiago Silva (40) e il portiere Fabio (44), con la benzina verde di Pio Esposito, Carboni (secondo e terzo marcatore più giovane dopo Jobe Bellingham) ma anche di Petar Sucic, senza dimenticare Luis Henrique, altro nuovo acquisto tutto da esplorare.

Ma l’ultimo arrivato attorno a cui gira quasi tutto, è lui, il tecnico debuttante assoluto a certi livelli, ma dalla lunga esperienza di calciatore top e di tecnico delle giovanili. E dalle doti comunicative, con i media e i giocatori, che promettono bene, grazie anche a un inglese impeccabile: a chi gli chiedeva se quella con il River fosse «la prima vera Inter di Chivu», il romeno ha risposto con l’ironia di chi vuole costruire un equilibrio: «Manca solo che parliate di Chivulismo…». Per poi spiegare come è intervenuto sulle teste dei giocatori, dal primo all’ultimo, da Lautaro a Palacios, acquistato un anno fa e reduce da un’annata flop.

I cambiamenti rispetto a Inzaghi

«Mi ha sorpreso» ha raccontato lo stesso Lautaro dopo la rimonta nel finale sull’Urawa. Perché l’elasticità di Chivu si vede anche nelle scelte, degli uomini e del sistema di gioco: sull’1-0 per l’Inter contro il River (comunque in 10 uomini) ha tolto lo stesso Lautaro, per inserire Carboni, un messaggio non così scontato, sia tattico che «anagrafico». Perché «la carta d’identità non conta», il 3-5-2 inzaghiano non è un dogma e le prove di 3-4-2-1 continueranno e potranno orientare anche le scelte di mercato, più un trequartista vero che Hojlund, in sintesi. Anche se come si è visto contro gli argentini il vecchio modulo (specialmente con 6 big assenti, 4 dei quali sono tornati a Milano) è ancora una base più che affidabile, con la variante di «marcature più uomo contro uomo» come ha spiegato Darmian e la richiesta ai centrocampisti di giocare più «in avanti», principi quasi gasperiniani di dominio del gioco. Lo spogliatoio lasciato dal suo predecessore, al di là di tutte le speculazioni su Monaco e sull’avvicinamento alla finale, è «sano». E anche questo, assieme allo staff di ex capitani come Kolarov e Palombo, sta aiutando Chivu. E lo aiuterà anche quando ci sarà un po’ meno democrazia.

28 giugno 2025 ( modifica il 28 giugno 2025 | 07:09)

28 giugno 2025 ( modifica il 28 giugno 2025 | 07:09)

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