Sono trascorsi tre anni da quel monologo di 61 minuti, alla vigilia del Mondiale in Qatar, con il quale Gianni Infantino entrò sulla scena della politica internazionale: «Oggi mi sento qatarino, arabo, africano, gay, disabile, mi sento un lavoratore migrante». Eppure la sua raccomandazione più accorata, in quel discorso che spaziava dal bullismo subito da bambino figlio d’immigrati in Svizzera fino all’ipocrisia dell’Europa neocolonialista, era di segno opposto: «Pensate solo al calcio, please, please, please».
Anche oggi, quando viene invitato a Sharm el-Sheikh nel vertice sul futuro di Gaza e marca a uomo Donald Trump nello Studio Ovale, il presidente della Fifa non deroga del tutto a questo principio: il calcio, a partire dal trionfo dell’Italia al Mundial ‘82, per lui è riscatto sociale. E la sua passione, anche quella per l’Inter, è intatta. Ma il problema, a sette mesi da un altro torneo che per la federazione del calcio mondiale vale oltre 10 miliardi di euro, è semplice: pensare solo al calcio è impossibile.
Tra le continue ironie della stampa anglosassone e gli strali di chi ha dimenticato quale era la credibilità della Fifa quando è diventato presidente nel 2016 dopo Blatter, Infantino ha scelto di cavalcare una sorta di pericoloso gigantismo, del quale il nuovo Mondiale a 48 è l’emblema, con il suo motto mostrato ai 3,5 milioni di follower su Instagram: «Vivere il calcio, unire il mondo attraverso il calcio e rendere il calcio davvero globale».Â
Del resto è stato lui, in vista dei possibili accordi di Abramo, a tratteggiare (prima del 7 ottobre 2023) la possibilità di un Mondiale organizzato da Arabia e Israele, con l’obiettivo di vincere il Nobel per la pace.Â
Per adesso, Infantino ha istituito un premio per la pace, che il 5 dicembre nel sorteggio mondiale a Washington avrà il suo primo vincitore, Donald Trump, attirandosi un surplus di sarcasmo: «Solo la Fifa, che è una organizzazione non profit e ha reinvestito dal 2016 5 miliardi di dollari per la crescita del calcio, può essere criticata perché vuole la pace — recita la risposta del capo della comunicazione Bryan Swanson al Guardian — . La Fifa deve essere riconosciuta per ciò che è: un organismo di governo globale che vuole rendere il futuro del mondo più luminoso».
Un manifesto, dove calcio e politica si fondono. E pazienza se per perseguire l’obiettivo è servito l’endorsement della politica di Trump, non consentito dallo statuto della Fifa. Ma quel che conta per Infantino è il risultato. E ogni partita ha la sua storia: solo grazie alla sua insistenza nel 2018 entrarono 1.500 donne allo stadio di Teheran per una partita del Persepolis dove lui era l’ospite d’onore.
Trump ha voluto Infantino a Sharm el-Sheikh, ufficialmente per mostrare «quello che il calcio può fare nella ricostruzione di Gaza», anche se per la morte del calcio nella Striscia, la Fifa per due anni non ha preso posizione. La vera peculiarità di Infantino utile a Trump, in un mondo nel quale lo sportwashing è la prassi (nella speranza che le sue ricadute siano sociali e non solo economiche), è il rapporto col mondo arabo. E la sua presenza, un po’ offuscata da quella di Ronaldo, all’incontro e poi alla cena alla Casa Bianca tra Trump e il principe saudita Bin Salman è la chiusura del cerchio. All’interno del quale c’è l’opera più ambiziosa: l’assegnazione all’Arabia (per acclamazione e senza avversari) del Mondiale 2034.
L’assegnazione a Usa-Canada-Messico è arrivata invece durante il primo mandato di Trump e otto anni dopo Infantino non avrebbe mai pensato di ritrovarsi The Donald come interlocutore. Per la riuscita del torneo gli deve stare accanto ogni minuto: sorridendo a denti stretti alle sue sparate sugli altri Paesi organizzatori («Allora per il narcotraffico bombardiamo il Messico?») o sulle sedi delle partite, con Seattle messa in discussione dopo l’elezione di una sindaca democratica.Â
La Fifa ha il suo quartier generale nella Trump Tower, ha appena organizzato il primo Mondiale per club negli Usa grazie ai soldi sauditi, ha accettato Washington come sede del sorteggio. E in cambio nelle ultime ore ha ottenuto la soluzione del problema dei visti veloci per chi compra i biglietti per il Mondiale.
Una conquista pesante e sudata. Come quella di un difensore esperto, che sa sempre quale partita giocare.
20 novembre 2025
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