
«Io non voglio sottrarmi al processo. Anzi, voglio essere processata. Ma non in Ungheria, dove sarebbe un processo politico, dove la sentenza è già scritta. Voglio essere processata nel mio paese. In Italia. Io ho fiducia nella magistratura. Ho fiducia della magistratura italiana».
La voce di Ilaria Salis arriva al telefono da Bruxelles, dove domani il Parlamento europeo vota sulla revoca della sua immunità. «La mia intenzione non è mai stata quella di sottrarmi a un processo. Rivendico, come chiunque altro, il diritto a un processo equo e giusto, con tutte le garanzie democratiche del caso. In Ungheria questo non è evidentemente possibile. Per questo la difesa della mia immunità è oggi fondamentale».
A chiederle come fa a dire che la sentenza in Ungheria sarebbe già scritta, Ilaria Salis ricorda che «negli ultimi giorni il portavoce del governo ungherese è arrivato a inviarmi le coordinate del carcere dove progettano di rinchiudermi, mentre Orban in persona mi ha descritto come una terrorista. Revocare l’immunità significherebbe consegnarmi a una persecuzione già in atto. La mia condanna è stata di fatto sancita in anticipo dal potere politico, in un Paese dove la magistratura non è indipendente e dove verrei sottoposta, come ritorsione, a condizioni detentive disumane».
La sua richiesta, sostiene la Salis, non è la mossa disperata dell’ultimo momento: «Fin dal giorno zero di quei lunghi, terribili quindici mesi di carcerazione preventiva ho chiesto che il processo si tenesse in Italia. In un Paese civile, dove vige lo stato di diritto, dove accuse e prove possono essere valutate in modo equo e trasparente, con tutte le garanzie democratiche».
Il punto è che il reato di cui lei è accusata sarebbe stato commesso in Ungheria, non in Italia. «Ma la legge italiana – replica la Salis – prevede, in determinate circostanze, la possibilità di aprire un procedimento anche per accuse relative a fatti avvenuti all’estero. Le autorità italiane avrebbero potuto farlo da tempo; forse non hanno voluto. Ma ora è il momento di agire. Per questo chiedo: processatemi in Italia. Fatelo ora».
Prima però c’è da affrontare il voto del Parlamento europeo. «Il voto del Parlamento europeo riguarda esclusivamente la richiesta di autorizzazione a procedere avanzata dal regime ungherese. Questa richiesta deve essere respinta, perché aprirebbe la strada a una persecuzione certa e spietata».
Ma come si fa a processarla, sia pure in Italia, se lei non rinuncia all’immunità? «Pur avendo l’immunità europea, io potrei comunque essere processata in Italia, dove godo della stessa immunità dei parlamentari italiani, che non impedisce affatto l’avvio di un procedimento penale». Come fa a dirlo? «Lo prevede l’articolo 9 del protocollo 7 sull’immunità dei parlamentari europei. Io non potrei, ad esempio, essere arrestata senza l’autorizzazione del Parlamento cui appartengo; ma posso essere processata».
Qual è il suo stato d’animo, alla vigilia del voto decisivo? «Sono preoccupata, agitata. Ma sono anche fiduciosa. Ho fiducia che i colleghi sappiano trovare una soluzione opportuna per tutti. Non soltanto per me». In effetti, se lei dovesse tornare nelle carceri di Orban per il governo italiano potrebbe anche essere una bella grana.
Lei ha mai incontrato Giorgia Meloni? «No, mai. Ma spero che una soluzione si possa trovare, nell’interesse di tutti e di tutto, in primo luogo il rispetto dei diritti».
Ma il governo che cosa c’entra? Che cosa può fare? «Dalla casistica, dai precedenti, ai miei avvocati risulta che a volte l’iniziativa sia stata presa dalla procura, ma altre volte l’iniziativa sia stata presa dal ministro della Giustizia. Sono convinta che il governo sia in grado di far sì che il processo avvenga in Italia, secondo le garanzie del diritto, in modo che possa portare a una sentenza giusta. È quello che chiedo con forza».
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22 settembre 2025 ( modifica il 22 settembre 2025 | 21:05)
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