
Tempo di Giubileo, di pellegrinaggi e adunate con panino e rosario. Facile, in tempi di trasporti di massa e aerei low cost. Ma per portare diecimila persone a Roma a piedi lungo le strade di settecento anni fa serviva una vera impresa. Ci riuscì un frate bergamasco, anche se non finì bene: fu sbeffeggiato, dovette scappare di nascosto e infine punito dal Papa.
Venturino da Bergamo nasce nel 1304, figlio di Lorenzo degli Artifoni di Almenno, si fa frate domenicano a 14 anni nel convento di San Lorenzo (si trovava dove oggi c’è porta San Giacomo: venne demolito per costruire le Mura) e ordinato poi a Genova. Predica in tutto il Nord Italia, ha molto seguito e arriva così tanta gente che deve parlare all’aperto. «Macilenta e asciutta la figura; facile e pronta la parola, sia in latino, sia in italiano — lo descrive il Dizionario dei Beati —. I suoi sermoni avevano tinte terribili, il suo temperamento era appassionato, il misticismo ardito, accentuato il profetismo». A Vicenza non riesce a creare un ordine femminile, così torna a Bergamo e fonda il convento di Santa Marta, dove entra la sorella (aveva anche un fratello, amico di Petrarca).
Nel 1335 gli viene l’idea di organizzare un pellegrinaggio di penitenza dei bergamaschi a Roma. Venturino vuole portare la pace nel mondo e soprattutto in città, divisa fra guelfi e ghibellini. Tanto che avvisa: se tra i pellegrini ci sono nemici personali dovranno camminare fianco a fianco. Ma Bergamo ha anche l’interdetto di papa Giovanni XXII: niente sacramenti per tutta la città perché aveva accolto delegazioni dell’antipapa Niccolò V e si riteneva che la provincia fosse popolata dai seguaci di fra’ Dolcino (l’eretico di cui si parla nel Nome della Rosa). La voce si sparge, arriva gente da tutta la Lombardia. Il 21 marzo 1338 il pellegrinaggio parte. «E tanto fu più cosa maravigliosa, quanto arrecavano abito», scrive il cronista noto come Anonimo Romano. Tutti i partecipanti sono infatti vestiti del bianco dei domenicani: gonnella, tabarretto, calze, stivali e cappello, e una colomba ricamata sul petto. «Una parte fuoro ientili e buoni», dice l’Anonimo facendo capire che sugli altri c’era qualche dubbio. Durante il percorso infatti si aggregano in tanti, arrivano anche noti malfattori che annunciano pentimenti che non convincono tutti. La comitiva si divide in gruppi di venticinque che in alcune zone vengono scambiati per bande di briganti e aggrediti.
Alla prima chiesa di ogni città i pellegrini si fermano e si flagellano al grido di «penitenza, pace e misericordia»: «Dinanzi a l’altare si spogliavano da la cintola in su, e si batteano un pezzo umilmente», scrive il toscano Giovanni Villani. Grandi accoglienze in città come Firenze, scrive ancora l’Anonimo nel suo meraviglioso volgare: «Fuoro divisi per le case caritativamente e dato a loro da magnare, buono lietto, lavati piedi, fatta moita caritate per tre dìe senza premio». La comitiva si ingrossa, verso Roma sono ormai in diecimila.
La fama del frate lo ha preceduto, viene invitato a predicare in dodici chiese. Ma nel frattempo nascono disordini per l’arrivo di diecimila persone tutte insieme in una città che all’epoca ha solo cinquantamila abitanti: tutta gente che deve trovare da mangiare e da dormire, e se non lo trova si arrangia. Infine Venturino si scontra con il proverbiale cinismo dei romani. Quando parla in Campidoglio, «tutta Roma trasse per odire soa predica — racconta l’Anonimo —. Forte tenevano mente Romani. Queti stavano». Ma tutta quell’attenzione è per vedere se il frate bergamasco fa errori di italiano: «Ponevano cura se peccava in faizo latino».
I primi problemi nascono quando Venturino, in preda al fervore mistico, dice ai presenti che dovrebbero girare a piedi scalzi, visto che si trovano in una città santa. «Ma Romani so’ mala iente — deve riconoscere l’Anonimo —. Allora se ne risero». Peggio ancora quando Venturino critica le spese per le feste e avanza un’idea brillante: «Questa pecunia datela a mi. Io la despenzaraio alli uomini necessitosi». Il pubblico lo prende in giro e gli dà del matto: «Li Romani se comenzaro a fare gabe de esso e dissero ca era pascio». E se ne vanno: «Se levaro in pede e partirose e lassarolo solo».
Venturino ci riprova in San Giovanni ma viene scacciato ancora prima di parlare: «Romani non lo volevano odire, anche ne facevano la caccia». Lui è stupefatto: «Se desperava dell’ira e li maledisse e disse ca mai non vidde più perverza iente». I diecimila pellegrini ormai sono spariti e Venturino deve rassegnarsi: «Se partìo de secreto e gìone fòra de Roma».
Ma la sua impresa non è sfuggita a Papa Benedetto XII, che teme eresie e lo convoca nella sede di allora, ad Avignone. Prima ancora di interrogarlo si sente proporre una crociata contro i turchi e criticare il fatto che sta in Francia. «Per la sua presunzione — scrive Villani — e perché diceva che non era niuno degno papa se non stesse a Roma a la sedia di san Piero», viene confinato per otto anni nel convento di Aubenas, col divieto di predicare e confessare. Ma riesce a intessere contatti con mistici di tutta Europa e qualcuno gli attribuisce dei miracoli. Con il cambio di Papa cambia anche l’aria per Venturino: Clemente VI appura che la calata dei bergamaschi non si era trasformata in scisma e approva la crociata. Venturino si imbarca a Marsiglia il 2 settembre 1345 e sei mesi dopo arriva in una Smirne assediata dai turchi di Omar Pascià. Si dedica alla predicazione e all’assistenza dei feriti ma, stremato dalle penitenze, muore prima di compiere 42 anni.
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9 agosto 2025
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