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Il ritratto del nuovo consumatore italiano: prudente, selettivo e con il risparmio nel mirino

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Tutti lo cercano e vorrebbero blandirlo. Lui, il consumatore italiano, per ora non sembra recepire. È attento ad aprire i cordoni della sua borsa, è molto vigile, non disdegna qualche follia ma a patto che sia «un’esperienza di vita» e comunque appena può risparmia. È il risultato di un clima di incertezza generale, vuoi geopolitica — come si usa dire adesso — vuoi più micro, ma senza un consumatore attivo e dinamico la crescita italiana rimane al palo di partenza. Si crea un circolo vizioso che investe ovviamente i dati della produzione, il ricorso alla cassa integrazione e addirittura quei riscontri sull’occupazione — da tempo immemore in salita — e ora nell’ultimo mese per la prima volta in calo. Per capire come è fatto il consumatore italiano l’Istat ha sfornato nei giorni scorsi un report sulle spese per i consumi delle famiglie dell’anno 2024. Proviamo a scorrerlo e a cercare di capire di più.

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Dimensioni ristrette

Nel 2024 la spesa media mensile per consumi da parte delle famiglie in valori correnti è stata di 2.755 euro, sostanzialmente stabile rispetto all’anno precedente. Il peso dei prodotti alimentari e bevande alcooliche sul totale è rimasto anch’esso tutto sommato stabile, 19,3% nel 2024 e 19,2% nel 2023. Invariato anche il rapporto (4,9) tra le spese delle famiglie dell’ultimo e del primo quinto della distribuzione. In salita, +4,1%, la spesa media per servizi di alloggio e ristorazione. Si riducono invece le spese per informazione e comunicazione che scendono del 2,3% rispetto al 2023 mentre cresce nel Nord Est la spesa per istruzione che sale del 16,9% rispetto a un anno prima. Osserva Albino Russo, autore dell’annuale rapporto sui consumi di LegaCoop: «C’è un fattore di fondo di cui bisogna tener conto analizzando questi primi dati, stiamo parlando di famiglie sempre più piccole come riflesso del calo delle nascite».
Ma andiamo avanti nell’esame. Nel Nord Est la spesa media è la più alta e supera di 834 euro quella del Sud. Le famiglie meridionali sono portate a concentrare gli acquisti su beni e servizi per il soddisfacimento di beni primari, l’alimentazione in cima. Se mediamente una famiglia italiana spende in cibo il 19,3%, nel Sud questa quota arriva addirittura al 25,4 per cento. Al contrario nel Nord sono più elevati i consumi di ristorazione e alloggio, trasporti, ricreazione e cultura. Commenta Russo: «È la fotografia di un Paese che come sappiamo ha pronunciate differenze di benessere. Il Nord è assimilabile alle aree europee, Milano non è molto lontana da Parigi, mentre la Puglia ha dati che ricalcano quelli del Sud della Spagna e infine la Calabria è assimilabile alla Grecia. Torno però alla dimensione delle famiglie: anche nel Sud oggi si restringono e quindi abbattono la dimensione dei consumi familiari rispetto a solo 10 anni fa». Dall’Istat arriva una conferma: in Puglia la spesa delle famiglie è quasi la metà di quella in Trentino Alto Adige (che batte persino la Lombardia). Si spende di più in genere nelle aree metropolitane e meno nei piccoli comuni, la distanza è del 12%.
L’Istat però ci avverte anche che quasi un terzo delle famiglie ha limitato la spesa alimentare.

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Risparmi cercansi

La voce che in verità è stata più tagliata è quella per abbigliamento e calzature: ha provato a ridurla il 47,5% delle famiglie e questo dato sale nel Mezzogiorno al 57,6%. Dice Russo: «Che gli italiani continuino a cercare risparmio nel carrello della spesa è fatale. Ma non sarei del tutto pessimista perché le famiglie ricominciano a comprare frutta e verdura e il cibo è comunque una trincea del benessere quotidiano delle nostre famiglie, quasi una religione». Chi vive da solo — e si tratta di una tendenza in deciso aumento soprattutto nelle grandi città — ha speso nel 2024 circa 1.930 euro cioè il 68% della spesa di una famiglia di due componenti e il 58% di una famiglia di tre membri.
Spiega l’Istat che all’aumentare dell’ampiezza familiare cresce il peso delle voci meno suscettibili di economie di scala e diminuisce quello delle voci sulle quali è più facile sfruttarle. Ad esempio per la quota di spesa destinata all’abitazione e alle bollette si passa dal 43,9% delle famiglie monocomponente al 28,6% di quelle con cinque o più membri. Secondo Russo le famiglie di un solo membro non sono solo di persone che hanno scelto di non sposarsi o convivere ma anche di molti vedove e vedovi «che vivono in condizioni di ristrettezza, ma in case grandi e quindi sopportano la spesa della manutenzione del patrimonio immobiliare».
Poi non bisogna dimenticare, sostiene Russo, una quota significativa di boomers con buone pensioni e case di proprietà che orientano la spesa verso il benessere e la longevità. «Negli ultimi dodici mesi sono state vendute mezzo milione di bilance pesapersone e un terzo degli italiani dichiara di essere a dieta».

Negozi, iper e super

A proposito dei boomers, conferma l’Istat: cresce la spesa alimentare per le famiglie di ritirati dal lavoro. Le famiglie di soli stranieri spendono più degli italiani per gli alimentari: siamo al 23,2 contro 19,1. Spendono meno in ricreazione/cultura e ristorazione mentre è maggiore di quella italiana la spesa per informazione e comunicazione. «In Inghilterra — annota Russo — una famiglia indiana media spende di più della famiglia inglese tipo. Da noi, invece, i lavoratori stranieri sono ancora relegati a mansioni a meno valore e di conseguenza spendono innanzitutto per mangiare. Comunque, se vuoi spendere di meno puoi farlo, esistono canali paralleli e tipologie di prodotti che lo consentono. Restano come inevitabili le spese fisse».
Complessivamente, aggiunge Mario Sassi, blogger e attento osservatore delle dinamiche della grande distribuzione, «il consumatore è più accorto, compra meno e va più spesso nei supermercati, evita di fare scorte come una volta e soprattutto combatte gli sprechi. Quanto ai discount, prima avanzavano come coltelli nel burro ora le insegne tradizionali hanno imparato a fronteggiarli molto meglio».

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14 ottobre 2025

14 ottobre 2025

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