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Il partito anti-sindaci vince ancora. Parola alla Corte costituzionale. Bocciati gli emendamenti alla legge

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 Un centrosinistra sempre più sfibrato dalle contrapposizioni interne. Un partito anti-sindaci in forma smagliante. La seduta di ieri, 30 giugno, del Consiglio regionale è stata una partita a scacchi dalle mosse tutte sbagliate. Il risultato finale è un nulla di fatto per i primi cittadini che vorranno candidarsi alle prossime elezioni regionali: la modifica della norma che impone loro dimissioni 180 giorni prima della fine della legislatura (tempo ormai abbondantemente trascorso) non passa.
A fare la prima mossa è stato il centrodestra che, dopo numerose riunioni a vuoto con la maggioranza nell’impossibile tentativo di trovare un’intesa, ha deciso di mettere sul piatto la mediazione: dimissioni 45 giorni prima della fine della legislatura. Una strada a metà tra le posizioni diverse su cui si è arroccato il centrosinistra da mesi e quelle del centrodestra. La proposta correttiva viene agganciata alla legge sul Terzo settore e questo innesca le prime barricate. Ci pensano, tra gli altri, il capogruppo del Pd Paolo Campo e quello di Azione Ruggiero Mennea, a chiedere di sfilare la questione dalla legge sugli enti no profit.

Il centrodestra, consapevole della scarsa tenuta dell’Aula da parte del centrosinistra, temendo fughe tattiche, alza il muro ma respinge con forza le accuse di agguati alla legge che, assicurano, sarà approvata (così è stato). Si pretende il voto sull’emendamento presentato. Il centrosinistra, in tilt, inizia ad avvitarsi su se stesso. A complicare ulteriormente il quadro è la proposta del capogruppo di Per la Puglia, Antonio Tutolo: non la riduzione dei tempi per le dimissioni ma l’abrogazione totale della norma che le impone. La strategica richiesta del centrodestra di procedere con il voto segreto non fa che aumentare la temperatura. Inutili i tentativi del dem Paolicelli di ottenere una votazione palese, sarà il consigliere di Fratelli d’Italia, Luigi Caroli a dire ciò che probabilmente in molti pensavano: «Non vi fidate nemmeno di voi stessi». Evidentemente a ragione: la proposta abrogativa (emendamento Tutolo) che lo stesso Pd regionale aveva più volte proposto, ottiene solo 16 voti favorevoli. Sono 28 i contrari.

Non servono complessi ragionamenti matematici per comprendere che oltre i 18 consiglieri di centrodestra presenti in quel momento in Aula e i quattro del M5S, sei franchi tiratori della maggioranza hanno votato contro la proposta.
Il successivo voto sull’emendamento del centrodestra per ridurre a 45 giorni il tempo per le dimissioni, non fa che confermare le posizioni: 29 consiglieri presenti (il Pd non ha partecipato al voto) 21 a favore, 7 contrari e 1 astenuto. In buona sostanza a favore ci sono solo i voti del centrodestra e qualcuno in più. Ma non abbastanza, però, per approvare una modifica della legge elettorale che richiede la maggioranza assoluta (26).
Dunque ci penserà la Corte costituzionale il 9 luglio prossimo a decidere il futuro della norma sui sindaci, impugnata dal governo centrale. «Confidiamo a questo punto nella Consulta» commenta il segretario del Pd, Domenico De Santis. «Siamo disposti a tornare in Aula prima della prossima seduta, fissata l’8 luglio. Però è evidente che in Consiglio non ci sono i numeri».


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1 luglio 2025

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