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Il muro del Canada sulle tecnologie. L’ex banchiere Mark Carney guida la resistenza

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Resistere, resistere e rispondere, colpo su colpo, ma con la gentilezza diplomatica che contraddistingue i canadesi. Fin dall’inizio dell’era Carney, subentrato a Trudeau alla guida del Partito liberale e del governo, è stata questa la linea di Ottawa nei confronti del vicino del Sud, quel Donald Trump che non perde occasione per minacciare annessioni, se non invasioni.

I guai del Paese

Mark Carney aveva promesso che avrebbe risolto i guai del Paese entro il Canada Day, 1° luglio. Missione in parte riuscita in patria, con decisi tagli alle tasse, e a Bruxelles, dove ha firmato un accordo di partenariato strategico che gli apre la strada per entrare in ReArm Europe. Ma sul fronte americano ci sono ancora parecchi ostacoli da superare.

Il Canada da subito contro i dazi

Fin dall’inizio, il Canada guida la carica contro i dazi di Trump. Già ad aprile, dietro l’emorragia di titoli del Tesoro Usa che convinse il tycoon a decretare la prima tregua commerciale molti analisti videro lo zampino di una volpe della finanza qual è Carney, ex governatore della Banca del Canada e poi di quella d’Inghilterra. Sembrava tutto (quasi) risolto dopo il «cordiale» faccia a faccia alla Casa Bianca, in maggio, e il recente incontro bilaterale a margine del G7 in Alberta, quando i due leader hanno annunciato che «entro 30 giorni» avrebbero firmato un accordo per «costruire nuove relazioni economiche e di sicurezza». Dieci giorni dopo, venerdì scorso, ecco però l’ennesima marcia indietro di Trump, infuriato per il varo della tassa sui servizi digitali: da domani, le società tecnologiche con fatturato superiore a 14,7 milioni di dollari dovranno pagare il 3% sui ricavi per i servizi digitali in Canada (simile alla Digital Service Tax introdotta in Francia, Italia, Regno Unito; in Turchia è addirittura del 7,5%). Retroattiva al 2022, si stima che costerà alle aziende Usa fino a 3 miliardi di dollari. «Sulla base di questa tassa enorme, stiamo chiudendo TUTTE le discussioni sul commercio con il Canada, con effetto immediato», ha scritto Trump su Truth Social, definendo il Canada «un Paese molto difficile con cui commerciare» e minacciando altri dazi «entro sette giorni».

La «soluzione parallela»

Ricomincia l’altalena delle percentuali. E il Canada, ancora una volta, non si tira indietro. Poche ore dopo l’annuncio di Trump, si è vendicato imponendo una quota su alcune importazioni di acciaio e un supplemento del 50% per le importazioni che superano tale quota. Una misura necessaria, ha detto il ministro delle Finanze, Francois-Philippe Champagne, per proteggere l’industria dalle «tariffe ingiuste degli Stati Uniti». Più diplomatico il comunicato dell’ufficio di Carney: «Il governo continuerà a impegnarsi in questi complessi negoziati». E dopo il bastone, ieri la presidenza canadese delG7 ha offerto la carota a Trump, con l’annuncio della «soluzione parallela» che esenta le multinazionali statunitensi dalla Global Minimum Tax. Il ministro Champagne ha detto che ciò «faciliterà un dialogo costruttivo sulla tassazione dell’economia digitale e sulla salvaguardia della sovranità fiscale di tutti i Paesi». Do ut des.

La dipendenza storica dall’economia (e dalla difesa) degli Usa

La posta in gioco è altissima per il Canada, che ha una pesante dipendenza storica dall’economia (e dalla difesa) statunitense. È il secondo partner commerciale degli Usa verso cui si dirige oltre l’80% delle sue esportazioni. Attualmente, già subisce un’aliquota tariffaria del 25% sulle esportazioni che non rispettano l’accordo trilaterale USA-Messico-Canada, firmato durante il primo mandato Trump. Ci sono poi dazi del 10% sui prodotti energetici, del 50% su acciaio e alluminio (di cui il Canada è il principale fornitore per gli Usa) e il 25% sui veicoli e i ricambi auto, che sta colpendo molto duramente la Motor Valley dell’Ontario, dirimpettaia di Detroit.

Il calo delle esportazioni

La guerra commerciale ha provocato un forte calo delle esportazioni, ma nel complesso l’economia canadese ha finora mostrato resilienza. Le cose, però, potrebbero presto cambiare, ha avvertito di recente il governatore della Banca del Canada, Tiff Macklem: «Più a lungo questi dazi rimarranno in vigore, più è probabile che la debolezza delle esportazioni si riversi nel resto dell’economia». Con il rischio che i controdazi scatenino pure l’inflazione, perché «le cose che importiamo saranno più costose».

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28 giugno 2025

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