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«Il mostro», un’opera che ha tutti i crismi per imporsi nel tempo

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Tutto ha inizio nell’agosto del 1968, quando qualcuno uccide Barbara Locci e Antonio Lo Bianco nella loro auto. Sul sedile posteriore c’è anche un bambino di sei anni, che al momento degli omicidi dorme. Rimane ferito, ma non perde la vita. Inizia così una lunga vicenda criminosa, una scia di delitti perversi che, nel frattempo, i giornali ascrivono a un misterioso «mostro di Firenze».

Non era per niente facile realizzare una miniserie sulla saga criminale più truce ed enigmatica del Paese (tutto avvenne tra il 1968 e il 1985), dare un volto a incubi mai sopiti, soprattutto trasformare una trama — un puzzle di delitti, di verità parziali, di gogne, di enigmi — in scrittura, come succede solo con la grande narrativa.

Il regista Sergio Sollima e gli sceneggiatori Leonardo Fasoli e Stefano Bises (l’eccellenza della nostra serialità) hanno compiuto un’opera che ha tutti i crismi per imporsi nel tempo e rappresentare una tetra polifonia di voci monologanti.

Per sbrogliare l’intricata trama, il racconto fa largo uso dell’effetto Rashomon offrendo ai protagonisti principali la loro interpretazione dei fatti, in modo tale che la percezione dei medesimi viva di contraddizioni e ognuno sia oppresso da una tenebra gelida: uno schema non nuovo ma qui realizzato in maniera sorprendente perché ogni singolo narratore è inaffidabile.

Le quattro puntate della prima stagione riguardano i fratelli Vinci, immigrati dalla Sardegna, come se il «delitto passionale» («la provincia fiorentina appare popolata più da guardoni che da cinghiali»), fosse l’inevitabile sbocco di una cultura patriarcale, ultimo residuo di costumanze arcaiche.

La descrizione dettagliata della provincia e dei caratteri dei protagonisti serve principalmente per entrare nella loro mente e trasformare un’atroce sequenza di delitti in una sorta di anatomia dell’animo umano, in un racconto morale: la violenza è inestirpabile. Dietro la concretezza feroce dei fatti, si sente una continua febbre allucinata.

La donna (Barbara Locci) è la vittima sacrificale di una cerimonia sociale a cui la rarefazione emotiva e l’asciuttezza della scrittura conferiscono una trasfigurazione simbolica.

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23 ottobre 2025

23 ottobre 2025

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