
«La raccolta digitale delle firme? Abroghiamola». Roberto Calderoli, ministro per gli Affari regionali, di referendum ne ha promossi molti. Ma su questo, non scherza affatto: «Ne va della democrazia».
La scarsa affluenza mina la credibilità dell’istituto?
«Anche. Ma mi faccia premettere: parlo a titolo assolutamente personale, non da ministro».
Precisazione registrata.
«La scarsa affluenza per gli ultimi referendum non è la malattia, ma un sintomo. Nella piattaforma digitale vedo dei rischi ben maggiori. Certo, 77 referendum in 79 anni a me paiono un’esagerazione, il referendum dovrebbe essere uno strumento straordinario».
C’è chi chiede di abbassare il quorum, per esempio…
«Il raggiungimento del quorum e la vittoria dei sì rappresentano comunque una maggioranza relativa. E dunque, dato che la democrazia rappresentativa prevede che siano le Camere ad approvare le leggi a maggioranza e con numero legale, abbassando il quorum avremmo l’effetto paradossale che una legge approvata secondo Costituzione potrebbe venire modificata o abrogata da una minoranza del Paese. Una minoranza che detta le leggi a una maggioranza eletta».
Perché parla di modifiche? Il referendum è abrogativo…
«Le abrogazioni parziali, fatte con il taglia e cuci sui testi, rischiano di diventare manipolative e legislazione diretta. Se cancelli una parola, al posto che dover andare a destra, devi andare a sinistra. È normale, lo hanno fatto i radicali e l’ho fatto anch’io. Quando i quesiti sono eccessivamente manipolativi, la Consulta te li ferma. Ma se sono scritti bene, anche la Corte deve farli passare».
A destra molti suggeriscono di innalzare il numero delle firme necessarie: «Un milione». È d’accordo?
«Per me è altrettanto discutibile che abbassare il quorum. Francamente, significa non capire il problema. Il nostro referendum è normato dall’articolo 75 della Costituzione che dice quali leggi puoi modificare, quali non puoi, e sancisce che debba partecipare almeno il 50% degli elettori più uno. È un’impostazione figlia del periodo in cui è stata scritta. Le modalità di raccolta digitale sperimentate in passato con strumenti privati e oggi con il portale del ministero della Giustizia sono completamente fuori tempo e fuori luogo rispetto a quanto è scritto nella Carta».
Ma l’obiettivo non è appunto quello di adeguare il sistema ai nuovi strumenti?
«È evidente che l’articolo 75 è stato scritto per persone che devono uscire di casa, firmare e poi andare a votare. La previsione delle 500 mila firme era fatta con quel criterio, la presenza fisica dell’interessato. Oggi, attraverso gli strumenti digitali puoi chiedere qualunque milione di firme, ma non sarà sufficiente. Io, da medico chirurgo, mi ero inventato l’algoritmo per fare milioni di emendamenti ai Pdl. Così il Senato non sarebbe stato in grado di affrontarli. Per questa strada, anche con l’ausilio dell’Intelligenza artificiale, posso provare a portare 10 milioni di firme».
E dunque?
«Finché non si riuscirà ad arrivare al voto digitale, con la certezza che tutti i requisiti costituzionali siano rispettati, per me non si possono raccogliere le firme in questo modo. Se devi presentarti per votare, allora devi presentarti anche per le firme. Io sarei per sospendere questa raccolta delle firme attraverso la piattaforma digitale».
Lei parlava di rischi per la democrazia. Quali?
«Forse qualcuno si è dimenticato che per proporre una legge di iniziativa popolare, devi raccogliere 50 mila firme in 6 mesi. Con la raccolta digitale, significa che puoi farlo in pochi giorni. Annoto a margine che nessuna legge di iniziativa popolare, che io sappia, è mai diventata legge dello Stato».
Tutto questo per dire che cosa?
«Nella scorsa legislatura è stato modificato il regolamento del Senato. In modo tale che l’esame di queste leggi non è più un auspicio ma sostanzialmente un obbligo. Entro 30 giorni dal momento dell’assegnazione, deve iniziare l’esame in commissione. E se entro 90 giorni la commissione non ha concluso i suoi lavori, il testo deve andare in Aula come scritto dai proponenti».
E dunque?
«Se uno decidesse di sparare a raffica migliaia di proposte di legge, e le presentasse al Senato, avremmo un ramo del Parlamento completamente paralizzato. Anche per difendere la funzionalità del Parlamento, la raccolta digitale va fermata. È un pericolo. E c’è anche la difesa della dignità dei referendum abrogativi: la raccolta di firme personale crea un dibattito sulla materia che diventa automaticamente un dibattito del Paese. Altrimenti, nessuno se ne accorge. I referendum avrebbero dovuto essere utilizzati per garantire le scelte di coscienza, ora sono stati sviliti per questioni di dettaglio».
Prevede iniziative?
«La dico per ridere. Presentare una proposta di referendum abrogativo della norme per la raccolta digitale. Sicuramente, non raggiungerebbe mai il quorum, perché giustamente alla gente non interessa. Ma conviene che intervenga il Parlamento prima che qualcuno possa arrivare a paralizzare il Parlamento stesso e questo si chiama difesa della democrazia».
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15 giugno 2025
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