
SALISBURGO La sorpresa del festival la porta Cecilia Bartoli con la complicità del regista Barry Kosky in Hotel Metamorphosis, in scena il 10 agosto. Pastiche barocco che assembla Ovidio a Vivaldi, l’autore che fece riscoprire il grande mezzosoprano romano nel 1998, con il cd da 1 milione di copie. «Effettivamente, Vivaldi all’epoca era relegato alle Quattro Stagioni e a qualche pezzo sacro, quando invece ha scritto 35 opere».
Cecilia, in Italia la ascoltiamo sempre di rado.
«Il 28 settembre canto a Rimini e nel 2027, per i miei 40 anni di carriera, sarò a Santa Cecilia con Le Musiciens du Prince per il Barbiere di Siviglia, l’opera con cui feci il debutto assoluto all’Opera di Roma, dove sono cresciuta perché i miei erano nel coro».
Niente bambole?
«Sono venuta su a pane e musica. A Caracalla l’Aida si dava con i cavalli e altri animali, per me era come andare allo zoo, poi nelle prove sgattaiolavo tra le piramidi. Le mie amichette erano figlie dei colleghi dei miei, alle elementari se altri genitori non erano musicisti chiedevo, ma allora che lavoro può fare?».
I suoi genitori?
«Mamma Silvana, emiliana, è stata la mia insegnante di canto, mentre papà Pietro Angelo è romagnolo. Si conobbero al Lirico di Spoleto. Mio fratello morì a 35 anni di un brutto male, mia sorella canta nel coro di Parma».
Alla Scala…
«Tornai nel 2013 per un concerto sotto la gestione Barenboim. Fu un’esperienza molto felice, poi trovi sempre quattro detrattori, ma è la stessa accoglienza che ebbero Kleiber per l’Otello, Pavarotti nel ‘92, la Callas. Sono in ottima compagnia. Comunque se ricapita l’occasione, con un bel progetto, perché no».
Ma ha un esercito di fanatici che la seguono ovunque, la chiamano Santa Cecilia.
«Lasciamo stare i santi e le divinità… Sì, succede che mi chiedano l’autografo sulla pelle nuda, ricevo tante proposte di matrimonio e in Cina, dove gli spettatori più grandi avevano 30 anni, in due saltarono sul palco per abbracciarmi dopo un’aria di coloratura, ero diventata Michael Jackson».
Lei è anche manager.
«A Salisburgo mi hanno riconfermato come direttrice del Festival di Pentecoste fino al 2031, in tutto saranno 19 anni. Cerco di conciliare tradizione e innovazione, penso alla Norma su strumenti d’epoca belliniana preparata sul manoscritto con cui abbiamo girato l’Europa».
E poi ha l’incarico a Monte Carlo.
«Che non è un’opera elitaria, gli spettatori vengono da Genova, Savona, Nizza, Marsiglia. Il principe Alberto ci segue con passione, una volta ho visto entusiasta Federer, il tennista. Nell’immaginario il principato è legato alla mondanità (mentre è un faro di cultura), o al Casinò: nessuno ricorda che all’epoca di Rossini nei palchi dei teatri si giocava d’azzardo. Quel teatro è un gioiello, costruito dallo stesso architetto, Garnier, che fece l’Opéra di Parigi, completata grazie ai fondi monegaschi, con l’intesa che anche Monte Carlo avrebbe avuto il suo teatro».
Come impresaria, inviterebbe Gergiev a dirigere?
«Ho letto del concerto annullato a Caserta per l’amicizia con Putin. Dovrebbe essere una decisione condivisa col board. La musica deve portare pace e riflessione».
Parliamo di Hotel Metamorphosen. A un certo punto lei, Euridice, muore, sparisce, inghiottita in un lettone a mo’di sabbie mobili.
«Abbiamo pensato anche al film con Greta Garbo. In una stanza d’hotel (dov’è ambientato lo spettacolo in un surreale mondo dei sogni), la gente va e viene, ma si resta sé stessi, segna il passaggio del tempo».
Il concetto della metamorfosi si sposa bene con la musica liquida di Vivaldi.
«Esatto, è come una danza tra Eros e Thanatos, è davvero Ba-rock. Se c’è un filo rosso è in Orfeo. Sono storie di personaggi mitologici, Narciso, Minerva e via dicendo, che si umanizzano. Grandi emozioni. Io ancora oggi vivo sotto stress. Come impresaria, con i giovani artisti devo essere un po’ psicologa, cerco di allentargli la pressione».
Figuriamoci quando da giovane si trovò in tv allo show dei nuovi talenti con Baudo a Fantastico.
«C’era anche Lorella Cuccarini, da lì mi chiamò Muti alla Scala. Lo stesso panico lo ebbi all’audizione con Karajan, nella grande sala vuota di Salisburgo, al buio, lui al microfono, nel suo italiano germanizzato mi disse: signorina, si ricordi la direzione della frase musicale. Mi prese per la Messa in si minore di Bach ma non ci fu tempo perché morì. La naturalezza per fortuna mi veniva dal gruppo di flamenco in cui ballavo da ragazza. Una volta andai ospite dalla grande Raffaella Carrà…».
8 agosto 2025 ( modifica il 8 agosto 2025 | 07:10)
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