
L’aspetto più forte di Italia-Israele è che ne possiamo scrivere in un tempo di pace, certo una pace ancora tremolante, piena di rischi e di dubbi, con un corteo pro Pal che comunque sfilerà nel pomeriggio a Udine, una veglia di preghiera, uno stadio poi mezzo vuoto: ma a questa pace dobbiamo crederci, è l’unica pace possibile, e quindi, almeno qui, bisogna cominciare a ricondurre la nostra partita di qualificazione ai Mondiali dentro una dimensione (quasi) solo sportiva.
Gattuso si sta rivelando una piacevole sorpresa
Quale? Tralasciando le note questioni aritmetiche di classifica, tanto è chiaro che l’unico obiettivo ormai credibile sono gli spareggi, e che stasera abbiamo due risultati utili su tre, in uno slancio di efferato ottimismo forse un paio di piccole verità possiamo raccontarcele. La prima è forse quella più inattesa: però, davvero, Rino Gattuso si sta rivelando una sorpresa notevole. È, diciamo, l’allenatore di cui avevamo bisogno, dopo la stagione visionaria e tragica di Luciano Spalletti, dopo un campionato europeo in cui gli azzurri venivano presi a pallate dagli avversari, mentre il nostro ct di Certaldo stava lì a spiegarci il suo calcio relazionale, un calcio immaginifico — «Te tu sei in una zona del campo perché poi si ha la qualità di andare a giocare anche più indietro o più avanti» — e infatti i calciatori, già pigri di loro, già strapagati e appagati, avevano smesso di ascoltarlo (nello spogliatoio, chi s’allacciava gli scarpini, chi annuiva pensando a quando gli sarebbe arrivata l’ultima Porsche, chi proprio sbuffava).
Il lavoro da semplificatore dell’Italia
Gattuso si è rivelato un semplificatore. Difesa a quattro (ancora da imbullonare, chiaro): e se un terzino sale, l’altro stringe al centro. Due centrocampisti (raramente tre): uno che fa girare la palla e uno che parte e si butta dentro. Poi due ali larghe, due «tornanti», come si diceva un tempo, e due centravanti: che sono la vera novità. Ma tutto previsto con disegni che sulla lavagna paiono elementari, accessibili, possibili.
L’altro schema su cui ha lavorato il nuovo allenatore è quello mentale. Un sistema più delicato di quello tattico. Andavano sistemate alcune crepe. La Nazionale non è una seccatura: è un premio, una gioia, un orgoglio. La maglia va onorata. Se senti tirare al polpaccio, ti fermi, ma non corri subito tutto felice a prendere il treno per tornartene a casa. Ti fermi in ritiro: e vedi se puoi recuperare.
Il materiale umano è lo stesso di Spalletti
Insomma: Gattuso ha restituito agli azzurri una dignità calcistica e pure etica. Per questo, con un po’ di onestà intellettuale, fa molto male pensare che se il presidente della Federcalcio, Gabriele Gravina, invece di cincischiare con Spalletti, tra Nations League e le prime due partite di qualificazione, avesse provveduto subito a voltare pagina, oggi forse non saremmo condannati ad avere come orizzonte mondiale il solito martirio dei playoff.
Gli andiamo incontro con una seconda, importante consapevolezza. Questa: Gattuso non ha scovato campioni. I giovani arrancano. Baldanzi fatica molto nella Roma. Pafundi è sparito. Solo Pio Esposito sembra dare concreti segnali di crescita. Il resto del materiale umano è quello che conosciamo. Se si eccettua Gigio Donnarumma, non ci sono fuoriclasse. Qualche ottimo elemento: Barella, Tonali, Bastoni (forse, ma forse, Calafiori). Kean ha margini di miglioramento, però non enormi. Politano non sarà mai Bruno Conti, o Causio, o Claudio Sala. E Politano è più bravo di Orsolini. Però, ecco il punto, abbiamo scoperto che più o meno tutti, in questa nuova era azzurra, dimostrano d’essere un po’ meglio di come c’erano sembrati. Ciascun calciatore sta giocando vicino al limite delle proprie possibilità.
Questa è la situazione. Tra di noi non possiamo dirci bugie: appena quattro mesi fa (Gattuso fu ingaggiato il 15 giugno), avevamo una Nazionale allo sbando. Ora, invece, è una Nazionale che può pensare di andare, in qualche modo, ai Mondiali. Ricomincia ad essere una storia interessante.
14 ottobre 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA