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Il letto da marinaio, i ritratti, le sue pipe. La mansarda di Pertini diventa un museo

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Dormiva su un letto da marinaio perché, diceva, «mi ricorda gli anni di galera»: era poco più di una branda, stretta e scomoda, sotto la quale c’era un cassetto in cui custodiva una vecchia bandiera socialista. Sulla parete, il ritratto di un pastore davanti a un tavolo spoglio, con un pezzo di pane come magro pasto, e pure quel dipinto gli era caro perché lo riportava alle durezze del carcere. E c’era poi il resto di quanto arredava i 37 metri quadri del suo alloggio in affitto e che dava la misura della sua semplicità austera e dunque dei suoi valori: un piccolo salotto ottocentesco, molti libri, alcuni doni un po’ kitsch della gente comune, una raccolta di pipe e la luce che entrava dalle finestre spalancate sulla fontana di Trevi. L’unico bene «eccessivo, ma è regalato», si vantava.

Ecco com’era la casa dove Sandro Pertini tornava ogni sera, dopo le giornate in quel Quirinale che chiamava «ufficio» e non considerava un luogo dove vivere. Qui, in un posto ben diverso e lontano dai fasti del Palazzo, ha abitato e ricevuto rari amici fino al 1990, quando si è spento a 93 anni, seguito nel 2005 dalla consorte Carla Voltolina, ottantaquattrenne. Una mansarda che da allora è rimasta vuota perché quasi tutto era stato portato a Stella, il suo paese natale nel Savonese, dove l’antica dimora di famiglia è da tempo divenuta un museo.

Non sarà l’unico. Dal 3 luglio anche quella soffitta romana trasformata in residenza diventerà un centro di memoria e cultura dedicato al settimo presidente della Repubblica e alla moglie. Si chiamerà «Casa Pertini-Voltolina» e (allargata a un paio di stanze vicine che ospitavano la scorta del maresciallo Gennaro Jovine) accoglierà storici e studiosi offrendo, grazie al recupero di testi, documenti, fotografie, cimeli e un inedito supporto multimediale, gli strumenti per conoscere la parabola umana e politica del socialista arrivato al vertice delle istituzioni. Non basta. Gli «Stati generali del patrimonio italiano», ente del terzo settore guidato dal professor Drogo Inglese, che hanno promosso il recupero in collaborazione con Roma Capitale, collocheranno tra queste mura la sede della «Rete delle città presidenziali». Per esempio, Torino, che diede i natali a Saragat, Carrù per Einaudi, e così via.

È un’iniziativa di educazione civica che s’incrocia con un doppio anniversario pertiniano: i 35 anni dalla morte e i 40 da quando lasciò il Quirinale. Accadeva il 29 giugno 1985 e in quelle ore il partigiano Sandro volle partire con Carla per Nizza, suo rifugio durante l’esilio dal fascismo e dove aveva un pied-à-terre in Rue Pastorelli. Un modo per sfuggire dalla commozione sua e di moltissimi cittadini, che l’avevano salutato dalla piazza sulla quale si affacciava il suo «ufficio». Lui aveva guardato la folla e si era asciugato una lacrima mentre sfilava, le spalle curve, davanti ai corazzieri per l’ultima volta.

La sua presidenza aveva segnato un cambio d’epoca. Perché veniva nel pieno di un’emergenza che si profilava ormai come una crisi di sistema, su più fronti: Aldo Moro era stato assassinato dalle Br due mesi prima della sua elezione, le istituzioni rischiavano d’essere delegittimate dall’affaire Lockheed che aveva costretto a dimettersi il suo predecessore Giovanni Leone, lo scandalo della loggia massonica P2 sollevava una pesante questione morale, l’economia era in grave recessione, l’instabilità dei governi si acutizzava.

Il problema principale era di restituire dignità alla Repubblica e Pertini riuscì a farlo semplicemente essendo se stesso, con il proprio carattere e senza calcoli , come raccontò nei suoi diari il segretario generale del Quirinale Antonio Maccanico. Facendo leva sul prestigio di combattente per la libertà, dimostrato nella lunga lotta contro il fascismo. Parlando ai grandi papaveri del potere e agli italiani con una irruenza schietta e assai ruvida, se gli pareva necessario. Forzando le prassi quirinalizie, senza comunque spingersi oltre i limiti della Costituzione, come quando ruppe il monopolio della Dc a Palazzo Chigi e insediò al governo Giovanni Spadolini e Bettino Craxi. Rivitalizzando l’identità nazionale. E restituendo a tutti fiducia, mentre si imponeva come paradigma del presidente ideale. Infatti, non è stato dimenticato.

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27 giugno 2025

27 giugno 2025

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