
Non era un acquazzone. È proprio una tempesta. Con i tuoni, i fulmini, i grattacieli scoperchiati. La via è sempre la stessa, tenere assieme la legalità assoluta e il ruolo nazionale di Milano, non può cambiare per ogni puntata giudiziaria (in Italia, poi): ma nella vita ci sono autostrade e stradine di montagna. Qui, adesso, il percorso è diventato più stretto. Ci vorrebbero uno scatto politico e una visione vera, a livello italiano e cittadino, ma l’epoca non ci ha abituato agli scatti e alle visioni. Nulla è escluso, tutto è difficile.Â
Dopo gli interrogatori e le dimissioni, sembrava che l’inchiesta sull’urbanistica proseguisse senza infarti. Sembrava. Ma il gip, ieri, ha disposto cinque arresti ai domiciliari e un arresto in carcere. L’indagine dei pm di Milano ha il primo via libera di un giudice. Ci sarà ora il ricorso al Tribunale del Riesame, le tappe sono sempre lunghe, ma l’incubo di mezza estate è adesso. Con una città che, oggi primo agosto, ha la metà degli abitanti storici fuori sede e il doppio dei turisti stranieri, ha le vecchie botteghe chiuse per ferie e i nuovi «store» sempre aperti: una metafora del passato e del presente, anche questa.Â
La città della Madonnina e dei Navigli è diventata una città -mondo: tocca alla politica (in realtà a tutti) capire a che prezzo. Dirsi con franchezza se ci sono responsabilità dei singoli o un modello di sviluppo sbagliato. E chiedersi come e quando ripartire. La vocazione di Milano prevede (e prevederà sempre) la crescita e la fiducia: non la crescita intrecciata con la corruzione, non la fiducia a occhi chiusi. Dopo le grandi illusioni, le delusioni diventano sempre pesanti.
L’ordinanza del gip è molto dura, fa sua la linea della Procura, descrive un contesto «tentacolare e sedimentato», «un consolidato sistema di corruttela». Sono più di 400 pagine, un lungo atto d’accusa. «Una commistione inestricabile di conflitto di interessi, mercimonio della funzione pubblica, paraventi istituzionali e propaganda. Piegando a proprio uso le regole esistenti, interpretandole capziosamente o aggirandole in maniera occulta». Nessuno pensa che sia come Mani pulite, che dal ’92 in poi travolse la città e la storia d’Italia, un arresto al giorno e anche i suicidi in carcere, fino alla caduta di Bettino Craxi e all’avviso di garanzia a Silvio Berlusconi: ma le parole del gip, se confermate, se fondate, aprono un altro capitolo.
Quando si parla di giustizia, la politica parla di sé. E si incarta. Perché la realtà è più veloce delle opinioni. Giuseppe Conte, leader dei 5 Stelle, un tempo avvocato e oggi giudice, assolve Matteo Ricci nelle Marche la mattina e condanna Beppe Sala a Milano il pomeriggio. La destra chiede le dimissioni (con indignazione) a livello locale, però è garantista (con prudenza) a livello nazionale: bastava sentirsi al telefono. La sinistra sta con i magistrati ma anche con i suoi sindaci e governatori, allo stesso tempo: il dilemma di sempre e anche di più, viva le inchieste (sugli altri).
Ma non si affronta il tema. Il tema che conta. Cosa non ha funzionato a Milano, cosa si può (si deve) fare per i prossimi anni. Perché riguarda l’Italia tutta. Chi sta a Palazzo Marino e chi sta a Palazzo Chigi, chi governa adesso e chi vorrebbe governare domani. Chi ha sbagliato sarà processato e condannato, l’onestà è un valore assoluto, fa anche strano ripeterlo ogni volta. Ma le norme funzionano o vanno cambiate? Ci sarà un modo, in Parlamento, senza salvare e senza condonare quello che è stato, per uscire in futuro dai labirinti, fissare le responsabilità , chiarire i punti oscuri, aiutare l’attrattività e la crescita delle nostre città nella piena trasparenza.
Milano ha una storia di contraddizioni. Nei momenti peggiori esplodono, nei momenti migliori diventano la sua ricchezza. Nel 1960 venne inaugurato il grattacielo Pirelli di Gio Ponti (sempre questi grattacieli), era il più alto d’Europa, divenne il simbolo del boom economico e della creatività italiana. Nello stesso anno, Luchino Visconti inventò Rocco e i suoi fratelli, la famiglia lucana che arriva a Milano e sale sul tram che di notte taglia la città , è sbalordita per le luci e la gente, cerca (e non trova) le briciole del benessere. Due mondi che potevano confliggere e disintegrarsi, come profetizzava Luciano Bianciardi, oppure in qualche modo integrarsi e andare avanti. Come è successo, quasi sempre.
Al di là dell’inchiesta, che deve fare il suo corso, al di là dello skyline, che è un pezzo d’Italia e non solo di Milano, ora il confronto civico sulle (nuove) contraddizioni e le strade per tenere assieme (tutta) la città non è mai stato così urgente. E più sarà aperto più sarà prezioso. È questo il punto chiave per il sindaco Beppe Sala e i prossimi mesi, per l’intera sinistra che sta guidando una città premium, molto cara e poco inclusiva, per il centrodestra che si candida a governarla e forse dovrà dire «come» prima che «con chi». Se Milano, nell’incertezza, si ferma, è un danno per le imprese, gli studenti, il nostro Paese, in una stagione del mondo che è già avvolta nella nebbia.
L’archivio del Corriere può dare una mano. Il 23 ottobre 1885, ecco l’articolo in prima pagina: «È venuto il momento, per la città , di trattare un argomento troppo dimenticato, e che pure è della più grande importanza. Vogliamo parlare delle case a buon mercato. C’è da stupirsi come la questione non sia sempre all’ordine del giorno, non sia la più viva e la più dibattuta». Appena 140 anni dopo, che vuoi che sia, ripartiamo dalle case. Il colmo per una città è cadere da un grattacielo dopo averlo costruito.
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1 agosto 2025
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