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Il declino del calcio italiano nei bilanci dei club: i costi degli stipendi salgono, i ricavi tv scendono

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E ora guardiamolo il modello italiano. Del perché non funziona a livello internazionale. Con una Nazionale a rischio eliminazione dalle qualificazioni Mondiali per la terza volta consecutiva. E con squadre di club che in Europa quest’anno sono uscite anzitempo dalle partite ad eliminazione diretta, a eccezione dell’Inter, travolta però in finale di Champions League dal Paris Saint Germain.  Per capire che cosa non sta funzionando forse bisognerebbe partire dai numeri che non mentono mai. Nell’analisi ci facciamo aiutare dalla società di consulenza Deloitte che ha appena redatto uno studio sui ricavi e i costi operativi delle leghe europee confrontando i loro modelli di gestione. Così scopriamo che nella Serie A i ricavi delle partite nell’ultima stagione sono aumentati del 2% a circa 400 milioni di euro nel complesso, mentre la media delle presenze in campionato è cresciuta del 5% a 30.916 da 29.537.

La flessione dei ricavi televisivi

I ricavi televisivi però sono diminuiti del 2% a 1,5 miliardi di euro, in parte a causa del minor livello di distribuzione da parte della UEFA, data la performance complessivamente più debole in campo dei club italiani in UEFA Champions League. Al contempo sono aumentati i ricavi commerciali del 9% a 1 miliardo di euro, con la forte influenza dei nuovi accordi di sponsorizzazione dei club di Serie A di proprietà nordamericana e l’aumento delle vendite di merchandising. I cinque club italiani sotto proprietà americana hanno registrato un aumento medio dei ricavi commerciali del 26%, mentre gli altri club hanno aumentato i ricavi commerciali in media del 7%.

Aumentano i salari dei giocatori

Peccato che i costi degli stipendi dei giocatori siano aumentati del 4% a 2 miliardi di euro (media 98 milioni di euro a team). Nonostante ciò il rapporto tra stipendi e ricavi aggregati è rimasto abbastanza costante al 68% (2022/23: 66%), consentendo ai club di Serie A di restituire un utile operativo aggregato (40 milioni di euro) per il secondo anno consecutivo e, insieme a una spesa per i trasferimenti dei giocatori più conservativa negli ultimi anni, ha facilitato una situazione finanziaria e prospettive più stabili con perdite ante imposte ridotte a circa 300 milioni di euro (in calo del 22% rispetto ai 400 milioni nel 2022/23).

I modelli di business

Quel che è certo è che il calcio è ormai una vera e propria industria e comincia ad attrarre chi è interessato a fare profitto adottando logiche di gestione non lontane da quelle delle società tradizionali, come i fondi di private equity. Vanno però aggiornati i modelli di gestione che restano in molti casi ancorati spesso al modello di presidente-padrone che si occupa della squadra in maniera personalistica e con scarsa attenzione alla struttura di governance. Uno dei temi più interessanti è la presenza, nel settore sportivo professionistico, di soggetti che massimizzano il profitto (profit-maximizer) e di quelli che massimizzano l’utilità (utility-maximizer). Nell’ambito sportivo il primo modello è tipico degli sport statunitensi dove le leghe professionistiche di basket, football, hockey e baseball sono macchine da soldi che contano sullo sviluppo di brand globali.

Chi massimizza l’utilità e chi il profitto

In Italia però siamo sempre stati spesso abituati a imprenditori sportivi del secondo tipo che massimizzano la propria utilità attraverso l’investimento nel calcio e le vittorie e la notorietà che ne conseguono. Il ricco industriale impiega le proprie risorse personali non curandosi del risultato economico di fine anno e le perdite si accumulano consentendogli un miglioramento della propria reputazione con ricadute positive nel business principale. Lo sport diventa un investimento monetario «a perdere» con effetti positivi indiretti e questo ha limitato una maggiore professionalizzazione del settore a discapito di organizzazioni con migliori competenze e modalità di gestione moderne. Il modello del «massimizzatore di utilità» sembra però avviato al tramonto e la scarsa sostenibilità finanziaria dei modelli di gestione tradizionale del calcio italiano testimonia la necessità di un cambio di passo (ne abbiamo scritto qui tramite un’accurata analisi).

Il (lento) declino del calcio italiano: su i costi degli stipendi, giù i ricavi televisivi (e la Serie A pesa un terzo della Premier)

Il mercato del calcio in Europa

Il mercato calcistico europeo ha comunque registrato un fatturato record di 38 miliardi di euro nella stagione 2023/24, con una crescita dell’8% (35,3 miliardi di euro nel 2022/23).  I «cinque grandi» campionati europei – Premier League, Bundesliga, Liga, Serie A e Ligue 1 – hanno generato ricavi per 20,4 miliardi di euro, con un aumento del 4%, superando per la
prima volta la soglia dei 20 miliardi di euro. Secondo l’analisi di Deloitte la classifica dei ricavi delle prime cinque leghe europee vede la Premier in testa, che tocca i 7,3 miliardi di euro di fatturato, la Serie A supera i 2,9 miliardi, la Bundesliga arriva a 3,97 miliardi, la Liga a 3.76 miliardi, la Ligue 1 in Francia a 2,5 miliardi.

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15 giugno 2025 ( modifica il 15 giugno 2025 | 07:57)

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