
Pesca illegale, sovrappesca e – sullo sfondo – la possibile nascita di un nuovo sistema di allevamenti intensivi: in questo modo i Paesi europei del Mediterraneo stanno rispondendo a una domanda di carne di polpo in forte crescita da alcuni anni, sollevando una questione di sostenibilità legata a questa produzione.
«C’è stato un aumento della domanda di polpo negli ultimi cinque anni in tutto il mondo – afferma al Corriere Andrea Morello, presidente di Sea Shepherd Italia -. A Milano tu vai in qualsiasi bar e trovi il polpo. Allora la domanda sorge spontanea, da dove arriva questo polpo?». Morello è appena rientrato in Italia dopo aver preso parte a un’operazione di tre mesi nel mare tra la Grecia e la Turchia, in collaborazione con le autorità greche, per scovare e togliere dal mare trappole illegali per i polpi. «Abbiamo trovato sotto le acque di queste lagune 34,576 trappole illegali » racconta Morello, che parla della «più grande confisca mai documentata nel Mediterraneo» e di «migliaia di femmine con le uova rilasciate nel mare».
Le trappole per polpi sono dei piccoli tubi di plastica, pensati per offrire agli animali un rifugio ideale dove nascondersi per depositare le uova. In genere vengono lasciate a poche miglia dalla costa da piccole imbarcazioni, sprovviste quindi di sistemi di geolocalizzazione che sono obbligatori solo per i pescherecci più grandi. La normativa in Italia e in Grecia consente l’uso di questi dispositivi ma in numero ridotto (rispettivamente 1.200 e 1.500 per ogni «licenza»), mentre Sea Shepherd ha scovato decine di migliaia di trappole «pirata».
L’operazione in Grecia nasce sulla scia di un’attività identica svolta dall’organizzazione in Italia, al largo della Toscana, dove Sea Shepherd ha lavorato con la Guardia di Finanza per confiscare oltre 12 mila trappole illegali in un anno. «Stiamo parlando di pesca illegale, non riconosciuta», afferma Morello, che ipotizza un giro d’affari per l’Italia di 2 milioni di euro l’anno di pescato illegale, che raggiunge il mercato italiano e quello estero.
Sovrappesca e dipendenza dall’estero.
Il Mediterraneo è una delle principali aree per la pesca del polpo, che avviene anche con lo strascico. Negli ultimi anni la regione ha registrato un calo delle catture, che ha creato impennate di prezzo di fronte a una domanda sempre maggiore per la carne di polpo, sia nei Paesi europei (con l’Italia in testa) che extra Ue (Giappone, Corea del Sud e sempre più Stati Uniti). Anche se il calo è probabilmente legato a diversi fattori, come la riduzione delle flotte europee e i cambiamenti climatici, in Italia i pescatori puntano il dito contro la pesca illegale. «Ci sono delle barche che mettono a mare i tubi che stanno 365 giorni sul fondale – racconta al Corriere Massimo Alla, comandante di una nave che fa pesca a strascico a largo di Anzio -. È venuta una volta una vedetta, hanno tolto non so quanti tubi. Il giorno dopo erano di nuovo lì».
L’Italia è il principale consumatore di polpo in Europa, con un consumo che supera le 60 mila tonnellate l’anno. Di questo consumo, una percentuale inferiore al 10 per cento sono catture nazionali, mentre la stragrande maggioranza è di importazione – tanto che, secondo un rapporto Eumofa, persino «nella vendita al dettaglio, al banco del fresco, può trovarsi sia il polpo fresco proveniente dall’Italia che il polpo decongelato di importazione». I principali «fornitori» di polpo congelato per l’Italia sono il Marocco (14,8 mila tonnellate nel 2024), la Spagna (10,7 mila tonnellate) e l’Indonesia (4,5 mila tonnellate – dati Eurostat).
I nuovi allevamenti intensivi.
Proprio sulla scorta di una domanda in aumento e di prezzi in salita, alcuni anni fa è nata in Spagna l’idea di avviare un sistema di allevamento di polpi. «La domanda è aumentata, e la popolazione [selvatica] non riesce a sostenerla – ci dice Elena Lara, ricercatrice e referente per gli animali acquatici per l’Ong Compassion in World Farming -. Così la Spagna ha pensato che fosse una buona idea tentare di allevarli, perché ne potevano derivare molti profitti».
Il progetto di un allevamento di polpi in Spagna – il primo del suo genere al mondo – potrebbe nascere alle Isole Canarie, per iniziativa dell’azienda Nueva Pescanova, che in Italia opera nel settore dei surgelati, con una capacità iniziale di 3mila tonnellate l’anno. Ad oggi il progetto è fermo per delle obiezioni sollevate dal governo locale della Canarie al piano di impatto ambientale presentato dall’azienda. A ottobre Compassion in World Farming ha pubblicato un report in cui denuncia l’impatto ambientale e sociale di un ipotetico allevamento di polpi, analogo a quello di altre specie carnivore come il salmone, le spigole, le orate, i gamberi, le trote e i tonni, per la dipendenza su enormi quantità di pesce selvatico, pescate in altre regioni del Pianeta per produrre mangimi.
«In Europa la maggior parte delle specie ittiche allevate sono carnivore – afferma Lara -. Questo è un problema che è stato discusso per anni, in quanto non dovremmo allevare queste specie per la loro dipendenza sul pesce selvatico». Secondo le stime dell’Ong, per produrre 3mila tonnellate di carne di polpo l’anno, l’azienda dovrebbe allevare 1 milione di esemplari e usare fino a 28 mila tonnellate di pesce selvatico per i mangimi. Numeri destinati a crescere esponenzialmente, con l’ampliamento della produzione negli anni successivi. «Siamo già in una situazione delicata, con gli stock ittici sovrasfruttati – sottolinea ancora la ricercatrice -. La cosa peggiore che può succedere è che continuiamo a introdurre nuove specie allevate, che richiedano ancora più pesce selvatico».
Negli ultimi anni diverse campagne internazionali si sono opposte alla prospettiva di un allevamento di polpi, considerati animali particolarmente senzienti e intelligenti, anche sulla scorta di documentari come «Il mio amico in fondo al mare» di Pippa Ehrilch e James Reed. Negli Stati Uniti, questo movimento di opinione ha portato la California e lo stato di Washington a vietare questo tipo di allevamento, inclusa l’importazione di carne prodotta in allevamenti.
Secondo una precedente ricerca di Compassion in World Farming, al contrario, il progetto spagnolo gode del sostegno di finanziamenti pubblici, dalla Spagna e dall’Unione Europea (9,7 milioni di euro al 2024), e altri fondi pubblici hanno finanziato analoghi progetti di ricerca in Cile, Italia, Messico, Nuova Zelanda, Australia. «Questa cosa va avanti perché la Spagna è interessata ad andare avanti, avendo investito molti soldi pubblici – commenta Lara -. Ovviamente anche il settore privato è coinvolto, e hanno tutto l’interesse perché c’è tanta domanda».
22 ottobre 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA
22 ottobre 2025
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